Giovane e brillante, liberale e manettaro, ecco chi è Stefano Zelig Feltri

Marco Fattorini linkiesta.it 5 mag 2020
Abbiamo un giornale! Giovane e brillante, liberale e manettaro, ecco chi è Stefano Zelig Feltri
“Domani”, il nuovo quotidiano di sinistra Carlo De Benedetti, sarà diretto dall’ex vicedirettore del Fatto, oggi a Chicago, dove guida il blog liberista ProMarket di Luigi Zingales, l’economista preferito da Sarah Palin. Il presidente della società editoriale, fondata lunedì a Torino, è il senatore del Partito democratico Luigi Zanda

 

E quindi “Domani”, il nuovo giornale di Carlo De Benedetti, sarà guidato dall’ex vicedirettore del Fatto Quotidiano. Tutto torna, se si pensa che il giornale fondato da Marco Travaglio, Antonio Padellaro e Peter Gomez nacque proprio in polemica con Repubblica e il mondo che (non) rappresentava, nonostante Travaglio e Padellaro provenissero proprio dal gruppo editoriale di De Benedetti. L’obiettivo, in fondo, è lo stesso: contendere a Repubblica una parte dei suoi lettori. Il senatore del Partito democratico Luigi Zanmda presiederà la società che lo pubblicherà, segno della ricerca di una copertura politica precisa, ora che il quotidiano guidato da Maurizio Molinari sembra intenzionato a cambiare marcia.

Si parla di otto pagine, una redazione giovane, un foglio cartaceo e online posizionato a sinistra. Carlo Verdelli ha declinato l’invito, quindi si è fatto il nome di Lucia Annunziata. Ma la guida andrà a un vecchio pallino dell’ingegnere: l’ex vicedirettore trentacinquenne del Fatto Quotidiano Stefano Feltri. De Benedetti ha cercato di portarlo più volte a Repubblica, prima con Ezio Mauro, poi con Mario Calabresi, infine con Verdelli. Nulla da fare.

Un profilo da giornalista economico, una carriera rapida e brillante. Prima al Foglio di Giuliano Ferrara e al Riformista di Antonio Polito, quotidiani garantisti, oggi negli Stati Uniti con il professor Luigi Zingales, l’economista liberista che piaceva molto alla candidata vicepresidente Sarah Palin. Linee editoriali diverse, probabilmente in contraddizione. «Stefano è europeista, liberale, di sinistra, un po’ manettaro», così lo descrive chi lo conosce bene e lo ha frequentato per anni, anche se altri ricordano le sue filippiche contro l’Europa sulla questione greca.

Tra i riferimenti ideali di Stefano Feltri ci sono tanto Romano Prodi quanto Marco Travaglio, insomma la fotografia del centrosinistra italiano. Classe 1984, originario di Modena, terzo Feltri a dirigere un quotidiano, dopo Vittorio (Libero) e Mattia (Huffington Post), ma a dispetto del cognome non è figlio d’arte. Nel 2012 su Twitter un utente lo accusava: «Se non fossi il figlio di tuo padre non staresti ovunque, probabilmente sei al posto di qualcuno più meritevole di te». La risposta di Feltri è stata lapidaria: «Mio padre è medico di famiglia a Modena. Se non fossi suo figlio, forse non sarei dove sono. Ma non ci vedo niente di male».

Nato nell’Emilia rossa, studi alla Bocconi, Feltri ha cominciato alla Gazzetta di Modena, poi al Foglio. Appassionato di motociclette, con i primi soldi guadagnati al giornale di Giuliano Ferrara si è comprato una Ducati Monster. Marco Ferrante, oggi manager dell’informazione Mediaset, lo porta al Riformista dove si occupa di economia. «È intelligente, preparato e vivace, ha sempre studiato», racconta chi ha lavorato con lui al quotidiano arancione di Polito. Arrivano i primi riconoscimenti professionali, ma Feltri non si ferma. Va alle presentazioni dei libri di Marco Travaglio e in una di quelle conferenze i due si conoscono.

Nasce un’amicizia. Quando nel 2009 Travaglio fonda il Fatto Quotidiano, vuole Feltri al suo fianco. Giornale molto diverso rispetto al Foglio e al Riformista. Ma chi lo conosce descrive Feltri come «travaglista da sempre». Quando nel 2015 Travaglio diventa direttore, Feltri viene promosso suo vice. Libero lo definisce il suo «pupillo». Diventa un punto di riferimento della redazione, oltre che volto televisivo e autore Einaudi di libri sul populismo, argomento che dalla redazione del Fatto ha seguito molto da vicino. «Al Fatto era quello che scriveva cose normali», ricorda con una punta di malizia un altro collega-amico.

La sua scalata mediatica accelera nel 2011, con l’avvento del governo Monti. Lui, bocconiano con una formazione economica, conosce il mondo dei tecnici. Nel 2019 si prende un bel po’ di critiche per essere stato invitato, insieme a Lilli Gruber e a Matteo Renzi, all’annuale riunione del gruppo Bilderberg, uno dei meeting più chiacchierati e blasonati al mondo, bersaglio preferito dei complottisti.

Ma come, si sono chiesti in molti, uno del Fatto Quotidiano va nel covo segreto dei potenti? «Faccio il giornalista – ha spiegato Feltri – quindi sono curioso, mi interessa partecipare a un evento di cui tanto si discute e che riunisce personalità che qualunque giornalista vorrebbe avvicinare».

Nell’estate del 2019 però, un’altra svolta. Feltri lascia la vicedirezione del Fatto e vola negli Stati Uniti, dove va a dirigere ProMarket.org, pubblicazione digitale dello Stigler Center, il centro di ricerca guidato da Luigi Zingales presso l’Università di Chicago, il tempio della filosofia economica ultra liberista. Ora dovrebbe tornare in Italia per guidare “Domani”, la creatura di sinistra di De Benedetti (che ha versato un capitale sociale di 10 milioni di euro). In molti, nell’ambiente giornalistico, si chiedono perché la scelta sia caduta su di lui.

Giovane e brillante, liberale e manettaro, populista e antipopulista. Ora la svolta a sinistra di Repubblica, con l’idea di rubare una fetta di pubblico al giornale fondato da Eugenio Scalfari. Un’area potenzialmente florida, ma non facile da conquistare. Chi conosce bene Stefano Feltri non ha dubbi sulla sua bravura, semmai sull’operazione: «Il mondo di riferimento di questo giornale potrebbe non riconoscerlo come uno di loro. Rischierebbe di essere un pesce fuor d’acqua. Lo considererebbero quasi di destra».

Domani è un altro giornale. E potrebbe essere quello di Feltri.

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