Meloni, la via della destra all’Europa

Stefano Folli La Repubblica 10 gennaio 2023
Meloni, la via della destra all’Europa
L’obiettivo è sostituire i Conservatori ai Socialisti, dopo le elezioni continentali del 2024, nell’alleanza con i Popolari. Ma diciotto mesi sono lunghi da passare senza perdere slancio. Soprattutto quando l’inflazione supera il 10 per cento e i rischi di recessione si aggiungono al caro-vita

 

 

C’è chi pensa che i rincari della benzina abbiano posto termine alla luna di miele di Giorgia Meloni con l’opinione pubblica. Può darsi, ma non vi sono certezze. Vedremo se i prossimi sondaggi segneranno per la prima volta un’inversione della tendenza favorevole che data dalla fine di settembre. Di sicuro i prezzi dei carburanti alle stelle non aiutano la popolarità dell’esecutivo, ma per cambiare scenario ci vuole altro. E senza dubbio all’opposizione sono consapevoli di dover mettere in campo qualche idea meglio strutturata se vogliono conquistare credibilità. Presentare Meloni come una premier quasi allo sbando è irreale: è vero che le sue difficoltà sono notevoli, ma numerose sono anche le carte di cui dispone.

Ieri (lunedì 9 gennaio), ad esempio, l’incontro con Ursula von der Leyen si è svolto all’insegna della cordialità. Nessun risultato concreto, s’intende, e anzi le questioni più delicate, a cominciare dalla gestione dei migranti soccorsi nel Mediterraneo, rimangono sul tavolo come altrettante spine nel rapporto tra Roma e Bruxelles. Se ne parlerà nel prossimo vertice multilaterale in febbraio, ma c’è da credere che per il governo italiano non sarà semplice ottenere il consenso europeo, tanto meno ricevere concrete manifestazioni di solidarietà per quanto riguarda i profughi da ridistribuire nei vari Paesi.

Tuttavia questi colloqui periodici si valutano per l’atmosfera: i sorrisi amabili tra le due signore non sono tutto, è evidente, eppure servono a confermare che non c’è inimicizia tra la presidente della Commissione e l’Italia del destra-centro.

Contano i fatti, oggi e nel prossimo futuro, e la presidente del Consiglio è attenta a non commettere passi falsi. Per cui ha dimenticato le dichiarazioni di qualche anno fa, plaudenti a Bolsonaro fresco vincitore del voto in Brasile, e invece oggi condanna insieme a Von der Leyen il tentato “golpe” dell’estrema destra. Un’agilità che è mancata a Salvini, sul Brasile come sulla Russia di Putin.

Non c’è dubbio peraltro che il passato pesa e le parole restano a lungo nell’aria. Ma l’idea della destra che Giorgia Meloni persegue in Europa è diversa da quella che il suo partito accarezzava fino a qualche tempo fa. L’obiettivo, come è noto, è sostituire i Conservatori ai Socialisti, dopo le elezioni continentali del ’24, nell’alleanza con i Popolari.

Sarebbe un risultato politico abbastanza clamoroso, tanto più se Fratelli d’Italia, magari trascinandosi dietro quel che resta del partito berlusconiano, migliorasse nelle urne, tra un anno e mezzo, il risultato del voto di settembre.

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Fazzolari, che è in un certo senso l’ideologo della premier, ha già detto che il traguardo finale è spezzare il condominio franco-tedesco alla testa dell’Unione per inserire l’Italia nel nuovo triangolo del potere.

L’obiettivo è ambizioso, ma diciotto mesi sono lunghi da passare senza perdere slancio. Soprattutto quando l’inflazione supera il 10 per cento, secondo le cifre ufficiali, e i rischi di recessione si aggiungono al caro-vita.

Non è un caso se anche una figura equilibrata come Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione bancaria (Abi), è intervenuto per ammonire la Banca centrale europea a non esagerare con la politica dei tassi alti, in quanto il rischio è di ammazzare il paziente, ossia l’economia reale.

Il tema è delicato, dal momento che le banche centrali godono di un’autonomia che sarebbe un grave errore incrinare. E tuttavia il risvolto politico è ben chiaro. Per cui il problema delle maggiori cancellerie, compresa l’Italia, è muoversi con prudenza e insieme determinazione. A Bruxelles non intendono fare a meno di Roma. Ma dovrebbe essere ormai chiaro alla presidente del Consiglio che nei prossimi mesi decisivi nemmeno Roma potrà fare a meno dell’Unione.

 

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