Taglio alle accise, tentazione retromarcia: il governo nell’angolo teme la crisi di consensi

Serenella Mattera La Repubblica 10 gennaio 2023
Taglio alle accise, tentazione retromarcia: il governo nell’angolo teme la crisi di consensi
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e la premier Giorgia MeloniIl ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e la premier Giorgia Meloni

 

 

Giorgia Meloni era determinata a tenere il punto, confermare la scelta fatta in manovra di non rinnovare lo sconto sulle accise della benzina, perché costoso e iniquo. Ma ora l’allarme per l’aumento dei prezzi al distributore, il rischio di consumare la fine della luna di miele con il Paese su un tema su cui in passato aveva battagliato tanto, la pongono davanti a un bivio. Di fronte a una decisione che nel governo ha già aperto una faglia.

Non è solo Matteo Salvini a pensare che si debbano trovare i soldi – oltre 1 miliardo al mese – per intervenire, tagliare quelle accise. In Consiglio dei ministri stasera se ne discuterà: Giancarlo Giorgetti riferirà dei controlli anti-speculazione della Guardia di Finanza, Adolfo Urso ipotizzerà di dare più potere al garante dei Prezzi per intervenire. Rischia di non bastare. Sulla necessità di fare qualcosa di più si rischia lo scontro tra i ministri. E c’è già chi ipotizza un altro Cdm in settimana, giovedì, per varare un decreto.

«È una fake news che ci sia la benzina a 2,5 euro. Io faccio ogni giorno l’autostrada perché sono un pendolare e la benzina è 1,8 euro», s’indigna Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario a Palazzo Chigi e consigliere ascoltato da Meloni. «Non è in discussione la reintroduzione di uno sconto sul carburante», aggiunge lapidario. I soldi che Draghi aveva usato per tagliare le accise, spiegano al ministero dell’Economia, sono stati destinati in manovra a «misure più mirate ad aiutare i più deboli».

Un effetto era atteso, un rimbalzo al distributore inevitabile, svanita la sforbiciata da 25 centesimi al litro. La convinzione è che la situazione si vada normalizzando. E che gli aumenti della benzina «a livelli sconsiderati» riguardino casi specifici, non generalizzati, in autostrada e non nelle città, e siano frutto di speculazione. Ecco perché i controlli, la Guardia di finanza. Prima di marzo, prima di avere un quadro completo nel Def, non si vorrebbe di nuovo intervenire sul caro energia, non si vuol rischiare di scassare i conti pubblici per un taglio non necessario sulla benzina.
Ma, c’è un ma. È un dato di realtà che sembra imporsi in queste ore. Riguarda la percezione dell’opinione pubblica. Di che si tratta? Lo ha spiegato ieri a Metropolis la sondaggista Alessandra Ghisleri, di Euromedia Research: «Le persone soprattutto a quello che accade con la benzina sono molto attente e fanno i conti con quello che si diceva in campagna elettorale e anche prima».

Meloni dall’opposizione diceva: abolire tutte le accise sui carburanti. Ecco perché, ora che da premier deve avere a che fare con i «lacciuoli» dei conti pubblici, ha la difficoltà di spiegare perché non fa quel che chiedeva agli altri governi di fare. Dalle rilevazioni emerge che «la gente se ne sta rendendo conto: sulle accise si chiedono ‘ci hanno sempre detto che andavano tolte, perché le hanno aggiunte?’». Ecco il punto, tutto politico. In gioco la popolarità dei partiti di governo, a un mese dal voto in Regioni cruciali come Lazio e Lombardia.

Salvini, sempre lesto a tastare l’umore dell’opinione pubblica, è il primo a intestarsi la richiesta di valutare «un intervento». Aggiunge, da vicepremier responsabile, che si dovrà valutare «se ci sono i denari per intervenire». Ma anche Licia Ronzulli, capogruppo di Forza Italia, afferma che «se i prezzi resteranno troppo elevati chiederemo di tagliare le accise e lavoreremo per una riduzione strutturale». Era stato chiesto anche al tavolo sulla manovra, rivendicano fonti azzurre, ma la risposta era stata che la dinamica dei prezzi avrebbe evitato impennate, un calcolo forse sbagliato.

Giorgetti, dopo aver incontrato con Meloni il capo della Guardia di Finanza Giuseppe Zafarana, ai colleghi in Cdm illustrerà stasera i dati emersi da un’indagine sui distributori chiesta già a dicembre, affinché partisse dal primo gennaio. Urso, ministro del Made in Italy, spiegherà che il punto non è sostituire l’attuale Mr Prezzi, Benedetto Mineo, come pure qualcuno ha ipotizzato, ma prendere atto che il garante può esercitare un controllo solo ex post. E invece, proporrà il ministro, si deve valutare di dargli più ampi poteri d’intervento, di agire a monte fissando dei tetti per calmierare i rincari. Venerdì Urso vedrà sul tema 19 associazioni dei consumatori e ascolterà le loro proposte.

Ma sotto la pressione dell’opinione pubblica nel governo si allarga il partito di chi pensa che sia meglio agire subito, intestarsi una retromarcia rispetto alla manovra, piuttosto che sedimentare nell’opinione pubblica l’idea che la Destra non mantenga le promesse. Convocare un Cdm già giovedì, questa l’ipotesi. «È la realpolitik, bellezza. Tutt’altra cosa che stare all’opposizione», commenta chi già aveva assaggiato il fiele delle responsabilità di governo. Il punto, molto concreto, è: se pure si decide la retromarcia, dove si trovano i soldi? Una domanda da fare a Tesoro e Ragioneria, dove siedono Alessandro Rivera e Biagio Mazzotta, sotto la scure dello spoils system. Su Rivera si potrebbe accelerare, secondo alcune fonti: decidere il cambio in Cdm già oggi: nei rumors si citano Antonino Turicchi e Paolo Ciocca.

 

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.