Biden, le carte segrete

Alberto Simoni La Stampa 13 gennaio 2023
Biden, le carte segrete
Spuntano altri documenti, il Congresso nomina un procuratore speciale. Il presidente: «Non erano per strada, collaboro». McCarthy: «Passo falso»

In agosto sull’onda del blitz dell’Fbi a Mar-a-Lago a caccia dei documenti classificati che Trump portò via dalla Casa Bianca, alcuni reporter chiesero a Biden se fosse accettabile avere in casa materiale top secret. Il presidente rispose così: «Dipende dai documenti e da quanto la tua stanza è sicura». Aggiunse che talvolta portava a casa dei documenti sensibili e che poteva farlo perché «ho uno schedario completamente sicuro». Biden è stato coerente e non ha mentito visto che il 20 dicembre nel garage della sua casa di Wilmington e nell’adiacente biblioteca privata, i suoi avvocati hanno trovato documenti classificati.

Rappresentano la seconda tranche di quelli scovati il 2 novembre nel suo ufficio presso il Penn Biden Center for Diplomacy and Global Engagement a Washington, il think tank della Pennsylvania University che l’allora ex vicepresidente ha guidato in qualità di professore emerito dal 2017 sino al 2019.

Ora un procuratore speciale, Richard K. Hur, indagherà sul viaggio dei documenti dell’era Obama che, secondo l’avvocato di Biden, Richard Sauer, sono stati impacchettati durante il trasloco dalle stanze governative nel 2017 «inavvertitamente e per errore».

La decisione di nominare un procuratore speciale che potrà muoversi con grande indipendenza e dovrà rendere conto solo all’Attorney General, è stata annunciata ieri da Merrick Garland, il ministro della Giustizia, il quale ha ricapitolato la sequenza degli eventi e sottolineato che la nomina di uno «special counsel» avviene in «circostanze straordinarie» come prevede la legge.

Il 4 novembre gli Archivi Nazionali hanno notificato al Dipartimento di Giustizia che gli avvocati di Biden avevano consegnato del materiale classificato ritrovato in un armadio al Penn Center; il 9 l’Fbi ha fatto una prima valutazione se c’era stata una violazione delle leggi federali e cinque giorni dopo John Lausch jr, procuratore in Illinois, veniva incaricato di fare una prima indagine. Il 20 dicembre gli uomini di Biden hanno ritrovato altro materiale classificato a Wilmington e l’Fbi l’ha preso in consegna.

Il 5 gennaio, infine, Lausch ha suggerito a Garland che il modo migliore per procedere sarebbe stata la nomina di un procuratore speciale – figura che la politica americana, sin dai tempi del Watergate e poi via via passando dal caso Lewinski sino al Russiagate conosce assai bene. Così ieri Garland – senza preannunciare la sua decisione alla Casa Bianca, dicono alcune fonti – ha deciso di affidare le chiavi dell’inchiesta a Robert K. Hur, un avvocato di esperienza, già Attorney General del Maryland e funzionario di altissimo grado nel Dipartimento di Giustizia.

E come Lausch anch’egli nominato da Trump. Una mossa astuta che toglie, almeno all’inizio, munizioni ai repubblicani. Il neo Speaker della Camera Kevin McCarthy nel corso della sua prima conferenza stampa, aveva denunciato «il doppio standard» e parlato di «politicizzazione della giustizia» ricordando come nei confronti di Trump il Dipartimento di Giustizia si era mosso con clamore, divulgando foto e spettacolarizzando il raid dell’Fbi. Quindi ha detto che chiederà un’inchiesta del Congresso.

L’esistenza del materiale classificato – di diverso livello di segretezza, ci sono anche documenti top secret su Ucraina, Iran e Regno Unito – è stato svelato dalla Cbs lunedì, oltre due mesi dopo il ritrovamento.

La Casa Bianca è stata sommersa di domande su questa mancanza di trasparenza e su quanto accaduto. Ma finora ha faticato a dare una risposta esaustiva. Martedì a Città del Messico, Biden si è limitato a dire di essere «sorpreso» della scoperta al Penn Center, che il suo team «sta collaborando» e di «non sapere cosa contengono i file».

Ieri mattina al termine del discorso sull’inflazione e lo stato di salute dell’economia americana, il presidente si è difeso nuovamente dicendo che «spera di poter parlare presto» e che «il garage dove sono stati trovati i documenti è chiuso a chiave» sottolineando, in risposta a una domanda di un giornalista della Fox, che la sua «corvette non la lascia parcheggiata in strada». La portavoce Karine Jean-Pierre ha aperto il briefing rileggendo il testo dell’avvocato sugli «errori compiuti» nel trasloco e poi schivando il fuoco dei cronisti ribadendo all’infinito la linea: stiamo collaborando e abbiamo fatto la cosa giusta. Ha confermato però che la ricerca dei documenti è finita.

La vicenda è politicamente imbarazzante per Biden che, secondo molte fonti, attendeva febbraio per annunciare la ricandidatura. Ora rischia di correre con la spada di Damocle di un’inchiesta sulla testa.

Trump sul social Truth ha detto che è tempo «di chiudere immediatamente l’indagine su di lui». Anche nel suo caso è al lavoro un procuratore speciale, si chiama Jake Smith e nel suo portfolio ha l’inchiesta sui documenti trafugati e anche i moti del 6 gennaio.

Smith e Hur, procuratori speciali che accompagneranno i duellanti Trump e Biden verso la (possibile) rivincita per la Casa Bianca. Sempre che giustizia non li separi.

 

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