Le bugie e i compromessi: così a destra è già finita la luna di miele

Flavia Perina La Stampa 13 gennaio 2023
Le bugie e i compromessi sulla Manovra: così a destra è già finita la luna di miele
Lega e Fi hanno agitato lo spauracchio della speculazione e ora lasciano sola la premier sul caro benzina. La loro è una riottosa sottomissione al suo consenso: un putiferio tale è impossibile non porti conseguenze

 

Il gran casino sulla benzina, col primo sciopero “vero” contro il governo, rivela finalmente il sentimento degli alleati verso Giorgia Meloni. Altro che luna di miele, altro che granitica solidarietà: per quattro giorni Lega e Forza Italia hanno agitato lo spauracchio della speculazione, richiesto provvedimenti esemplari, suggerito un decreto che fermasse gli sciacalli, e adesso lasciano a lei il compito di fronteggiare l’ira dei 22 mila gestori di impianti di benzina, frammento importante del mondo di riferimento della destra e della sua base elettorale, Paese reale, gente che lavora, mani sporche di grasso e carburanti, furiosi per essere stati additati come ladri.

È una trappola perfetta per la presidente del Consiglio, che non può nemmeno difendersi dicendo la verità: che i soldi per cancellare le accise sui carburanti magari c’erano pure, ma ha dovuto spenderli per correre dietro a Matteo Salvini su Quota 103, per tacitare il partito trasversale della Flat Tax, per accontentare Silvio Berlusconi sull’aumento delle pensioni minime e, giù per li rami, per distribuire i molti gettoni rivendicati dalla sua maggioranza in favore di associazoni e Onlus amiche, anniversari finanziabili, premi, singole elargizioni ai Comuni di riferimento di Tizio e di Caio.

«Il punto – dice la premier nel suo video difensivo – è che si fanno i conti con la realtà». Vero. Ma questi conti non sono solo economici, e non attengono solo all’eterna competizione politica all’interno della maggioranza. C’è un dato culturale più largo, legato a quell’ideologia della paura che ha fatto le fortune della destra e che adesso gli si ritorce contro all’improvviso. Dal fatidico ’94, quando la discesa in campo del Cavaliere trionfò scommettendo sul panico da comunisti, fino a tempi più recenti, ogni batticuore dell’opinione pubblica è stato trasformato in emergenza, catastrofe, tigre da cavalcare a scopi di consenso.

Gli immigrati, la criminalità urbana, i ladri delle villette, i rom, finanche i cinghiali (pure di loro ci si è occupati in manovra) e ovviamente i poteri forti, la speculazione, le banche, gli gnomi occulti che promuovono la sostituzione etnica. È diventato un riflesso pavloviano. Fermiamoli! Mandate l’esercito! Buttate le chiavi! La maldestra soluzione trovata per il caro-benzina e l’inflazione – C’è gente che specula! Chiamiamo la Finanza! – arriva anche da lì, dall’abitudine a cercare capri espiatori e ad evocare prove muscolari in ogni situazione di disagio, sicuri di incontrare consenso.
Stavolta, non ha funzionato. Tra i molti upgrade che comporta il passaggio dall’opposizione al governo, uno dei più importanti riguarda proprio la capacità di razionalizzare i timori del Paese e rispondere con lucidità, non certo di eccitare il popolo contro nemici fantomatici promettendo di prenderli a bastonate. Le paure, adesso, le cavalcano gli altri. Ad altri tocca lo show parlamentare, con Angelo Bonelli che in aula impugna una zucchina comprata a quattro euro al chilo. Ad altri la protesta nei mercati, dove le tv si aggirano cercando pensionati arrabbiati e delusi.

Ad altri il tweet polemico sulle promesse non mantenute e i meme ironici sul programma elettorale caduto nel dimenticatoio. Spetta ad altri, anche, sfruttare per i propri interessi la fronda interna che FdI ha abbondantemente esercitato quando Lega e FI governavano con Mario Draghi: gli editoriali critici sui giornali amici («Il rigore giusto e quello sbagliato»), le interviste del responsabile Energia forzista («Il decreto Meloni non risolve il problema»), le coltellate del rapporto del ministero dell’Ambiente che nega l’esistenza di speculazioni, e naturalmente le esibizioni di Matteo Salvini, che esce dalla vicenda come quello che avrebbe voluto ri-azzerare le tasse sui carburanti ma è stato fermato dalla perfida presidente del Consiglio.

I conti con la realtà sono anche questi. E se ricorderemo (come è possibile) questo gran casino sulla benzina come il primo, vero ostacolo incontrato da Giorgia Meloni nel suo ruolo di presidente del Consiglio, non è solo per il peso oggettivo dei rincari sulle famiglie o per l’annunciata protesta sotto Montecitorio degli addetti agli impianti, ma anche perché all’improvviso si è rivelato lo stato d’animo con cui Lega e Forza Italia si sono acconciati alle decisioni e alla premiership della prima capa di destra di un governo di centrodestra.

Una riottosa sottomissione al suo consenso, ai suoi numeri parlamentari, alla regola delle urne, che tuttavia non aspetta altro che un passo falso per trasformare l’inciampo in scivolone e lo scivolone in caduta. Ieri, al termine di una giornata nervosissima, persino il moderato Giancarlo Giorgetti, in passato dipinto come assai solidale con la premier, ha rilanciato una possibile marcia indietro sulle accise per essere subito smentito da fonti del governo.

I prossimi sondaggi ci diranno se la vicenda dei carburanti ha fermato l’ascesa di Meloni, magari premiando i suoi alleati-competitori, oppure no. In ogni caso è difficile pensare che un putiferio del genere non generi conseguenze, caccia alle responsabilità e ritorsioni: il primo sciopero “vero”, la prima piazza contro, in politica non si dimentica mai.

 

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