Libertà va cercando da secoli di propaganda

Paolo Di Paolo La Repubblica 15 gennaio 2023
Libertà va cercando da secoli di propaganda
Il commento dopo la dichiarazione del ministro della Cultura Sangiuliano, secondo il quale Dante “il fondatore del pensiero di destra in Italia”

 

Dispiacque, a un D’Annunzio dal cuore “piagato”, non partecipare al sesto centenario della morte di Dante – stravolto com’era dall’impresa fiumana. E soprattutto gli dispiacque non affacciarsi da una ringhiera approntata per lui a Ravenna: avrebbe, da lì, celebrato “l’implacabile Dante del Carnaro”. Che al Vate pareva dovesse simbolicamente caricarsi sulle spalle il dolore di giovani ardenti e “deluse madri senza pianto” per la vittoria mutilata.

In sette secoli di vita postuma, a furia di celebrazioni il ghibellin fuggiasco (che era in verità un guelfo bianco) è stato tirato costantemente per la tunica rossa. Dante papalino, Dante garibaldino (o mazziniano?), Dante mussoliniano. C’è un Dante buono per ogni stagione: incassa un oblio secolare tutto a vantaggio del Petrarca; viene risvegliato dall’afflato romantico-risorgimentale, e si offre alla contemporaneità come “attuale”. L’aggettivo è generico e discutibile, proprio perché autorizza interpretazioni sciatte, tessere di partito incongrue e imbarazzanti vessilli affibbiati a sproposito.

Fu una fortuna che alle orecchie di Croce – preoccupato, già un secolo fa, dalle appropriazioni indebite – non arrivassero le parole di un officiante laico che, alla presenza del re Vittorio Emanuele III, auspicava pochi mesi prima della marcia su Roma la reincarnazione dantesca in un prossimo “veggente in nome di Dio e del popolo”, “un sommo statista”, “un Eroe della spada”. Mentre il papa Benedetto XV rivendicava da par suo “l’intima unione del poeta con questa cattedra di Pietro”, richiamando gli ideali cristiani della Commedia. E glissando ad arte sui papi piantati all’Inferno. Almeno il giovanissimo Gobetti, tuttavia, si prese la briga di manifestare una certa stizza nel vedere schiacciato Dante sul “cattolicismo”.

A quella che l’antifascista della “Rivoluzione liberale” chiamò genialmente “autobiografia della nazione” andrebbe aggiunta un’ideale appendice dantesca: sovraccarica di goffaggini e intemperanze esegetiche, di ridicole, iper-retoriche e anacronistiche strumentalizzazioni. Nel ’32, per dire, Mussolini in persona istituì una “sagra nazionale” in onore di Dante, prescrivendo pellegrinaggi annuali sulla tomba del poeta. Nel ’36 pensò di tirare su a Roma un “Danteum”, una specie di complesso monumentale, ma per fortuna non se ne fece nulla.

Il problema è che c’è un Danteum nella testa di troppi, un bernoccolo che ha portato a straparlare di Dante leader politici più o meno colti, professori brigatisti e gente iscritta a Casa Pound. Con il rischio – ha osservato Christian Raimo – di trasformare la Commedia in “una sorta di I-Ching” da cui pescare citazioni “a uso e consumo di una qualsivoglia causa”.

C’è, volendo stare alle versioni più recenti, un Dante renziano (Stil Novo titolò un suo libro l’allora sindaco di Firenze) e un Dante meloniano (la leader di Fratelli d’Italia, non ancora premier, usò l’effigie dantesca per accompagnare lo slogan “Difendiamo l’Italia” e l’hashtag #parlaitaliano). Ma la verità, a cui sarebbe bene rassegnarsi, è che un’autentica e intramontabile grandezza intellettuale non appartiene a nessuno. “Libertà va cercando”: anche dalle ipoteche storte di noi eterne comparse purgatoriali.

 

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