Cattolici democratici e comunisti, quelli che non ci sono piu’

Goffredo Bettini La Repubblica 16 gennaio 2023
Cattolici e sinistra ritrovino insieme l’umanesimo del Pd
Ormai dilagano le ideologie neoliberiste. Ma cosa siamo se non elaboriamo un “oltre”? Dalla sola dimensione del governo si perde di vista la terra

Occorre prendere molto sul serio il convegno promosso qualche giorno fa dalla Associazione popolari, che ha radunato personalità cattoliche di notevole rilievo.

Intanto, perché nell’introduzione di Pierluigi Castagnetti, in modalità stringate ma schiettamente esposte, si sono tematizzate questioni decisive per il futuro del Partito democratico e della sinistra italiana. L’avvertenza, innanzitutto, del pericolo di una discussione superficiale e stanca, in riferimento a grandi quesiti che dovremmo impegnarci a “sbrogliare” con ben altra lena e serietà: le ragioni della sconfitta alle ultime elezioni politiche; l’impatto immediato e futuro che avrà lo scandalo delle tangenti del Qatar per orientare gli indirizzi del Parlamento europeo; l’incerta partenza della costituente propedeutica alla scelta, nel prossimo congresso, di una nuova leadership, attraverso il voto nei gazebo.

La tradizione politica dei cattolici democratici, così decisiva nella costruzione del Pd, manifesta una inquietudine. Il timore, anche, che nel confronto iniziato nel comitato indicato per redigere un nuovo manifesto del valori, dopo quello promulgato alla nascita dei democratici, vengano mortificate e sottovalutate, alcune delle radici che furono decisive nel 2008, per la nascita del nuovo soggetto politico dei riformisti italiani. E che questo, parole di Castagnetti, venga deciso in un organismo che non ha alcuna legittimità democratica. Calato dall’alto e composto secondo criteri per nulla trasparenti.

Sembrerebbe, a prima vista, una polemica prevalentemente rivolta alla sinistra interna, nelle varie forme in cui essa si esprime che, in realtà, sfuggono anche al sottoscritto.

Sarebbe, a mio avviso, una lettura riduttiva e politicista, sul terreno povero di una competizione interna, volta a conquistare spazi, più che egemonia di pensiero. Non dico, che questo retrogusto nel susseguirsi degli interventi del convegno dei popolari, sia stato assente del tutto. Forse, nella testa di qualcuno, in sintonia con un desiderio non estraneo a settori della chiesa cattolica (in così grande travaglio) di ricostruire un partito fondato sulla unità dei cattolici italiani. Seppure in dimensioni più modeste rispetto alla Democrazia cristiana, ma capace di esercitare una battaglia culturale, ideale ed anche politica e in grado di garantire la voce di una tradizione, azione e funzione futura ad un insediamento di coscienze e di presenze decisivo nella storia italiana, dal ’900 fino ad oggi.

Tuttavia il messaggio più profondo che ho colto dal confronto dei popolari è di ben altra dimensione. Riguarda il dramma di una politica, alla quale con evidenza il Pd non è riuscito a sottrarsi, che si è allontanata da quella ispirazione personalista, che ha avuto in Maritain il suo rappresentante più fecondo.

Vale a dire quella visione della società che poggia su una integrale aderenza alle condizioni delle donne e degli uomini, nella unicità della loro apparizione nel mondo. Quanto questa sia  stata importante per superare i totalitarismi del ’900 lo sappiamo bene. E sappiamo anche quanto essa sia costitutiva del messaggio più autentico del pensiero di Moro; che fin da ragazzo, quando non era ancora iscritto alla Democrazia cristiana, spiegava di non poter neppure “concepire” una politica sopraelevata rispetto alla vita. Se tale sentimento viene confrontato con il carattere elitario, tecnocratico, autoreferenziale del potere di oggi, anche di quello democratico, appare evidente l’attualità dell’allarme dei cattolici democratici, che non sono solo storia di un pensiero ma storia politica che agisce nella prassi.

Accanto alla perdita da parte della politica di un baricentro umanistico, in molti interventi, a partire da quello di Castagnetti, la nota dolente riguarda anche lo spegnimento di un “fuoco” che rispetto agli obbiettivi raggiunti attraverso la propria lotta, sia in grado di rilanciare il cuore e l’azione in una dimensione “altra”, costantemente inappagata rispetto alla realtà che via via si determina. Ed ecco le parole di Don Milani che, accompagnato l’offeso, l’umile, il diseredato fino ai cancelli della villa del padrone finalmente conquistata, gli dice: «Da questo momento io ti tradirò».

E su questi “inciampi” cruciali che, come dirigente del Pd che viene dalla storia dei comunisti italiani e della sinistra, vorrei soffermarmi. E soprattutto sottolineare quanto la sinistra, se è vera sinistra, non sia affatto immune alle domande poste dal cattolicesimo democratico; piuttosto pienamente attraversata e in crisi essa stessa, nelle sue fondamenta, rispetto ad una mancanza di risposte.

La forza dei comunisti e dei socialisti italiani, nell’immediato dopoguerra, fu di far convivere riferimenti internazionali ormai degenerati e del tutto opposti rispetto alla “scintilla” e alla speranza del ’17, con una immersione “terragna” nel popolo italiano, aderendo «a tutte le pieghe della società».

Le persone, gli operai, i contadini umiliati furono il propellente per l’avanzamento della sinistra. I miti rimanevano sullo sfondo, condizionavano malamente, ma l’ispirazione per un partito nuovo veniva estratta dalla vita, dalle esperienze e dalle speranze di milioni di persone: da conquistare, “attraversandole”, nella loro concretezza e vera umanità. La sinistra, senza tutto questo, è foglia morta: di questo abbiamo sofferto negli anni che ci stanno alle spalle. L’incapacità di rilanciare dopo il crollo del comunismo, un pensiero critico in movimento e in sintonia con l’anelito di una nuova società. Tale incapacità, ha portato anche la sinistra a scegliere solo la strada del governo.

Utile. Negli anni ’90 l’Ulivo ha salvato la democrazia e l’Italia. Tuttavia dalla sola dimensione del governo si perde di vista la terra. La micro- vita si distingue poco nei grandi schemi e al contrario si coglie seguendo passo passo il destino delle singole esistenze.

In mancanza di un pensiero critico, inevitabilmente hanno dilagato le ideologie neoliberiste. L’esaltazione del presente, di quello che c’è. Ma cos’è la sinistra se non elabora un “oltre”? Se, appunto, si sente sazia e alla fine rinuncia a trasformar e il mondo?

Ecco perché ritengo essenziale, per rilanciare il Pd, il rapporto osmotico tra il socialismo e il cristianesimo. Tra la radice di sinistra e quella cattolica. Ognuno nei decenni passati ha preso qualcosa dall’altro. La sinistra ha temperato il suo statalismo, il cattolicesimo democratico si è aperto al mondo. Abbandonando ogni venatura confessionale. Con lo stesso entusiasmo che Maritain riponeva nell’amicizia con un sindacalista americano duro ed estremo come Alinsky: per il semplice motivo che apprezzava in Alinsky, non qualche sua ideologia, piuttosto l’impegno infaticabile, diretto, genuino, umanissimo nella difesa delle persone, dei lavoratori sfruttati, dei senza potere.

Mi viene da dire, con schiettezza, che dunque il problema che taglia le radici della stessa esperienza del Pd (pur da rinnovare perché nata in un clima politico e culturale più ottimistico rispetto a quello così tetro dell’oggi) non riguarda un tirare la coperta da una parte e dall’altra tra la sinistra e i cattolici democratici; ma al contrario, è quello di superare dentro il Pd l’acquiescenza che si è determinata a fronte della modernità che stiamo vivendo e la rinuncia alla critica dello sviluppo odierno, che, se lasciato a sé stesso, porterà non solo a inedite disuguaglianze ma alla distruzione del pianeta.

La distanza dal dolore e i miti del neoliberismo si sono insediati anche dentro di noi. Essi rendono corpo inerte il Pd. Impediscono che effluisca l’energia vitale delle culture che in esso sono confluite. Lo portano all’“appagamento” e allo spegnimento di ogni “scintilla” di rivolta morale e politica, che pare essere affidata solo al magistero dei due ultimi papi: Benedetto XVI e Papa Francesco. Il primo, in termini di rifiuto della suadente dimensione mondana. Una rivolta conservatrice, che pure della rivolta mantiene vivo un giudizio prezioso e incancellabile sulla decadenza del mondo. Il secondo, agli antipodi, sfidando lamondanità, in una immersione totale della Chiesa nel “gorgo” della vita. Per cambiarla, con il rischio di intrecciare, fino a non distinguerle, le vie della fede e quelle di un magistero terreno, fondato sull’azione concreta, tesa ad aprire i cuori, con l’esempio, non solo dei cattolici, piuttosto dei non credenti e di tutte le persone di buona volontà.

Sarebbe bello che il confronto tra di noi, invece di riguardare i confini, spesso fittizi, delle correnti, del potere, dell’influenza nella direzione politica o elettorale, prendesse di petto questo passaggio che vedo chiaramente all’orizzonte: solo la sinistra e il cattolicesimo democratico insieme potranno suscitare nei democratici un nuovo pensiero “inappagato” facendo fronte a quel cedimento di coscienza e ideale, che porta all’“apologia” delle cose come stanno. Altro che dividerci! Occorre ritrovare un’osmosi vera che rilanci una funzione trasformatrice del Partito democratico, riconquistando quel 50% di italiani che non votano più. O quelli che in mancanza di altro votano 5Stelle. O quelli ancora infatuati dal “politicismo” del Terzo polo, che predica il riformismo, ma cova in sé nuove divisioni.

 

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