Elena Stancanelli La Stampa 16 gennaio 2023
Shakira, Piqué, il revenge pop e le donne con il conto in banca
L’ultimo successo della popstar è una canzone contro il suo ex Piqué, che ama un’altra. Ha dimostrato che, dopo un divorzio, il denaro è il miglior alleato delle donne
Si può dire tradimento ma è meglio evitare la parola risarcimento, ci si può indignare sul piano morale ma guai a diventare venale: il matrimonio, nonostante Jane Austen si fosse sgolata in tutti i modi per farci rinsavire, chiede la cortesia di ignorare il denaro. Se ne vergogna, lo nasconde, finge che sia accessorio, non determinante. Dio mio, sei davvero un principe?!?, avrebbe detto la candida Meghan Markle a non so più quale appuntamento, non il primo comunque. Come se saperlo Windsor e possessore di un ingentissimo patrimonio sminuisse la purezza dell’amore che lei stessa si attribuisce.
Forse che il desiderio, la passione, hanno più legittimità di esistere, in un rapporto tra esseri umani, della tranquillità economica? Quanti equivoci e quanti divorzi per colpa di questo bon ton insensato. Shakira si separa da Piqué e fa quello che sa fare: scrive una canzone. Piqué si separa da Shakira e fa quello che sa fare: si mette con una ragazza che ha la metà degli anni della moglie. Io valgo due 22, canta a quel punto lei, hai cambiato un Rolex con un Casio, una Ferrari con una Twingo, e ancora: tutta quella palestra che fai… non sarebbero una buona idea far lavorare un po’ anche il cervello?
E fin qui siamo nell’esercizio di stile. Composto in misura variabile di fiele e di ironia, il “revenge qualsiasi cosa” è questo: «Fuck lei/lui, io sono meglio e te ne stuferai, e quando te ne stuferai io non ci sarò più». Ma Shakira, la cui fama e le cui economie doppiano, almeno, quelle dell’ex marito portiere di calcio e traditore, non si ferma e dice esattamente quello che va detto e che per supposta (imposta?) eleganza non si dice mai: ricordati, mio minuscolo ex, che «Le donne non piangono, le donne fatturano».
Se il denaro è imbarazzante in amore, la ricchezza è un tabù. Intendo quella di una donna, ovvio. Gli uomini la ostentano senza ritegno, la ritengono – giustamente – un valido aiuto sul terreno della conquista. Difficile che un uomo pensi: voglio che mi ami per quello che sono e quindi via il ristorante di lusso e dai con la Panda e il kebab. Persino Harry the Spare dubito si sia presentato a piedi e vestito di stracci, per confondere la già confusa Meghan. Ma le donne no, le donne nascondono, si scherniscono, minimizzano, sbianchettano il conto in banca. Come se quest’ultimo, frutto del proprio lavoro, fosse più disdicevole di un buon carattere o di un corpo allettante. E questo non vale solo nel matrimonio.
La libertà di ogni individuo, e guarda un po’ anche delle donne, passa attraverso l’indipendenza, la possibilità di non dover contare sul sostentamento altrui. Il denaro permette, per esempio, assistenza alle donne vittime di violenza, e Chiara Ferragni, che se ne intende, dona denaro all’associazione D.I.re, attiva su questo fronte. Eppure Ferragni viene guardata con sospetto, come se quel denaro fosse infetto, frutto di narcotraffico, come se servendo anche ad addolcire la sua immagine non servisse ad aiutare quelle donne.
Le donne ricche sono streghe, perfide regine delle nostre storie, politiche con messe in piega improbabili o donne ai vertici di società vestite di nero, la cui possibilità di incidere sulle nostre vite viene associata a razzia, voluttuoso e perfido godimento, lussuriose brama da arpia. Forse solo le artiste, e con loro Shakira, sono escluse da questo tribunale, perché in fondo, pensiamo noi, di quanto guadagnino non avranno sentore nemmeno loro stesse. Saranno i padri, i mariti, i fratelli a gestirle. Sbagliato.
Shakira sa con esattezza quanto vale, anche in termini economici. Shakira fattura, non piange. Perché le sue canzoni non cambieranno il mondo, ma il suo denaro cambierà il suo ruolo nella società, e quindi cambierà la società. E, come scriveva nel 1938 Virginia Wolf, servirà persino a prevenire la guerra. Lo scrive nel suo saggio, Le tre ghinee: cosa possono fare le donne, a chi dare soldi in beneficenza e per la causa. Le sue tre ghinee, Woolf le dà simbolicamente una al fondo per l’istruzione femminile, un’altra al fondo per garantire l’accesso delle donne alle libere professioni e l’ultima a un’associazione femminile pacifista chiamata “La società delle estranee”. Perché la diseguaglianza economica genera violenza, e solo disarticolandola si potrà metter fine al sistema patriarcale. Le donne devono avere accesso agli studi e devono guadagnare abbastanza, perché le società siano in equilibrio. E per abbastanza si intende quanto gli uomini, né più né meno.
Cosa cambia dentro le coppie, dentro i matrimoni, nell’amore? Per tenere allegro il tuo desiderio hai bisogno di sottomissione, hai bisogno, con l’arrivo della mezza età, di esercitarlo su qualche giovane fanciulla di minuscola solvenza ma virginale fragranza? Facciamo finta che questo sia antropologicamente inviolabile, che si stia parlando di maschile/femminile nella sua qualità pre-civilizzata, pre-culturale. Che, insomma, senza un po’ di indigenza femminile non sia data l’erezione maschile. D’accordo: ma che bisogno c’è che questo sia reale?
Il sesso e l’amore sono un favoloso gioco di ruolo, in cui chiunque partecipi può prendersi lo scettro e un attimo dopo fingersi vittima tremante. Maschio o femmina, ricco o povero, è un teatro in cui puoi interpretare tutti i ruoli, a prescindere dal tuo reale possedere. Anzi: proprio per quello. Per godersela, è invece cruciale sapere che si tratta di un gioco, che non fa male, e che puoi alzarti da quel letto sapendo che non è lì e in quel modo che troverai il denaro per pagare le lezioni di pianoforte ai tuoi/vostri figli, o la vacanza che vorresti. Fidatevi: più le donne fatturano e fattureranno, più il gioco sarà divertente per tutti.