Antonio Fraschilla La Repubblica 18 gennaio 2023
Le relazioni pericolose della borghesia. Così Trapani si è “strusciata” col boss
Messina Denaro ha coltivato il “consenso sociale”. I legami di imprenditori e politici col suo clan. Il caso D’Alì, ex FI, favoreggiatore condannato per concorso esterno
Il palazzo in stile classico, uno dei pochi in questa città baroccheggiante, sembra disabitato. Le imposte celesti sono chiuse, i due grandi portoni in legno massiccio serrati. E dire che questo è stato per anni il cuore del potere a Trapani: l’abitazione dell’ex senatore forzista e sottosegretario degli Interni Antonino D’Ali, condannato in via definitiva per concorso esterno per i rapporti con la famiglia dell’ormai ex latitante Matteo Messina Denaro. Poco distante da qui, nella centralissima Corso Italia aveva una filiale la Banca Sicula, negli anni d’oro della Trapani con più sportelli bancari d’Italia per abitante, tanti ne giravano di soldi in queste strade che arrivano tutte al mare. All’istituto bancario della Sicula, di proprietà della migliore classe imprenditoriale della città, famiglia D’Ali compresa, tra i suoi dirigenti c’era il fratello di Matteo Messina Denaro, il secondo figlio di “don” Ciccio. E in fondo a questa stessa via, salendo verso Erice, c’è il bar dell’ex socialista Franco Orlando, arrestato perché considerato uno dei reggenti della mafia guidata dal boss e per anni frequentatore assiduo del Palazzo comunale. Un triangolo di viuzze simbolo di una borghesia che a queste latitudini si è sempre strusciata con Messina Denaro, con i suoi uomini e anche con i volti segreti della massoneria in una città dove si dice ci siano più logge che quartieri, più cappucci che cappelli.
Il palazzo D’Alì chiuso in una stradina che non ha più il viavai di una volta sembra l’immagine perfetta di una storia al capolinea, quella di una provincia “perbene”, che ama il compasso, e che con Messina Denaro e il suo clan ci ha fatto affari, lo ha protetto e gli ha dato risorse da investire nella speranza di ricavarne ulteriori guadagni e quindi ulteriore prestigio sociale. “Borghesia mafiosa”, l’ha definita il procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, annunciando l’arresto del latitante. “Borghesia che qui in fondo è stata distrutta da questo legame, lasciando il territorio ancora più povero”, dice il sindaco Giacomo Tranchida, seduto dietro la sua scrivania dai piedi dorati al Palazzo del Comune, a poche decine di metri da casa D’Ali.
Qui Matteo lo conoscevano in tanti: “La sua rete di relazioni è nata in questa provincia dove non esiste il racket perché il boss non ha mai voluto creare attenzioni e ha cercato sempre, ottenendolo, il consenso sociale. Il tutto mentre gli imprenditori di vari settori hanno trovato una sponda sicura in lui”, dice il magistrato Massimo Russo, originario di Mazara del Vallo, altro centro pulsante del potere di Messina Denaro, e tra i primi a indagare dopo le stragi sul figlio di “don” Ciccio da Castelvetrano, compiere nei feudi D’Ali. “Nel 1993 nessuno sapeva chi era Matteo, sarà solo Balduccio Di Maggio a indicarne il curriculum già di altissimo livello criminale quando ancora Messina Denaro junior non aveva trent’anni”, continua Russo, che si dice colpito dall’arresto del superlatitante avvenuto in un contesto normale: “Forse perché in fondo Matteo nel suo regno, la Sicilia Occidentale, si sentiva sicuro e forte, avendo da sempre buoni rapporti con tutti, dai contadini ai volti dell’imprenditoria, della finanza e della massoneria”.
Trapani e il suo circondario sono piene di cattedrali vuote costruire da imprenditori finiti poi sotto i riflettori degli inquirenti. Qui il re dei supermercati era Giuseppe Grigoli con la sua catena Despar. Imprenditore nato dal nulla che a Castelvetrano ha aperto uno dei primi centri commerciale di tutta la Sicilia: verrà accusato di essere il braccio economico di Messina Denaro e subirà un sequestro da 700 milioni di euro. Eolico e fotovoltaico, poi, altro pallino di Matteo: e qui nei guai è finito il re del vento, Vito Nicastri da Alcamo, patron di diverse società che hanno ottenuto autorizzazioni a man bassa dalla Regione durante i governi berlusconiani degli anni rampanti e che ha subito un sequestro da un miliardo di euro. Adesso deve subire un nuovo processo dopo che la Cassazione ha annullato parte della sentenza che gli aveva tolto l’aggravante di aver aiutato la mafia.
Supermercati, centri commerciali, pale eoliche, ma anche turismo: così è scattato il sequestro dell’impero Valtur di Carmelo Patti, ambulante di Castelvetrano diventato imprenditore al Nord e scomparso qualche anno fa senza riportare comunque condanne. Sotto i sigilli della procura antimafia sono finiti villaggi turistici in posti da sogno, dalla Sardegna alla Sicilia, per un valore di 4 miliardi di euro. Alla corte del capomafia, e del suo cerchio magico, decine di imprenditori nel settore dell’edilizia: dall’oggi collaboratore di giustizia Antonino Birrittella (sua ancora una delle poche aziende attive nell’area “industriale” di Trapani) alla Calcestruzzi di Nicolò Clemente, altro imprenditore della provincia finito nel mirino degli inquirenti.
La borghesia che si struscia con il boss. Come i camici bianchi che lo hanno curato durante la sua lunga malattia, dall’ospedale di Mazara del Vallo a quello di Trapani, finendo con l’ultimo medico che lo ha visitato a Campobello di Mazara, Alfonso Tumbarello. I colletti bianchi, i politici e i professionisti del trapanese che conoscevano bene Messina Denaro, oppure avevano rapporti diretti con i suoi uomini: così è finito ai domiciliari il deputato Paolo Ruggirello, politico e anche lui imprenditore, che con il vento renziano era entrato a far parte del gruppo Pd all’Assemblea siciliana dopo un passato nel Movimento per l’autonomia di Raffaele Lombardo. Per dieci anni si è seduto sugli scranni del Palazzo dei Normanni e davanti alla sua segreteria, in Corso Italia, c’era sempre un campanello di questuanti che chiedevano aiuto per tutto, dalle piccole pratiche alle richieste di assunzione.
E se tanti non si sono fatti alcuno scrupolo ad avere a che fare con mafiosi, non sorprende che a denunciare la presenza della mafia e l’imposizione di fornitori siano in pochi, come racconta Valerio D’Antoni, legale dello sportello antimafia di via Marinella: “Trapani è un territorio molto difficile. Riceviamo poche denunce di pressioni mafiose. La speranza è che dopo l’arresto di Messina Denaro qualcosa cambi”.
Intanto il sindaco si alza di scatto e firma la delibera in bella vista sulla sua scrivania per intitolare l’aula consiliare “a tutte le vittime di mafia”: “Si rende conto, l’aula consiliare non era stata mai intitolata a nessuno”, dice Tranchida lasciando il Comune in una giornata di sole: “Sì, speriamo sia tornato il sole davvero in questa città, ma dentro i palazzi e non solo tra le nuvole”.