Il caso La Russa, se questo è un presidente

Andrea Malaguti La Stampa 19 gennaio 2023
Il caso La Russa, se questo è un presidente
L’elegante Ventunesimo Presidente del Senato della Repubblica, Ignazio Benito La Russa, ha liquidato un audace giornalista del Fatto Quotidiano che gli domandava a quale titolo partecipasse alla campagna elettorale lombarda di Fratelli d’Italia, con l’immortale replica: «Metti quel cazzo che vuoi».

Mantra, slogan e destino della sua stessa inarrivabile esistenza.

L’episodio risale in effetti a quattro giorni fa, ma l’imprescindibile testimonianza filmata è diventata virale solo ieri grazie a “Dagospia”, rilanciando un dibattito, neppure troppo sotterraneo, che dal 13 ottobre accompagna la vita di questo mortificato Paese: fino a che punto saremo costretti a sopportare il “cazzovuoismo” della seconda carica dello Stato?

Anche a questa domanda, in effetti, si è già premurato di rispondere il medesimo ’Gnazio, che con la maturità di un alunno di seconda elementare, ma con rigoroso grembiule nero da maschietto (mica ci si può confondere), ha spiegato: «Così sono e così resto, fatevene una ragione».

Bel suggerimento. Per seguirlo basta seppellire, nella stessa tomba di Predappio, il buongusto assieme al residuo rispetto delle istituzioni e a quel briciolo di senso dello Stato che qualche sciocco perbenista ancora si porta in tasca. Per il Presidente è stata una scelta naturale, espressa con chiarezza nel giorno dell’insediamento a Palazzo Madama, quando, dopo aver baciato e portato fiori a Liliana Segre (in una delle più surreali istantanee del nuovo millennio), si affrettò a esprimere il comprensibile orgoglio per il prestigioso incarico raggiunto: «Mi sono emozionato di più per il triplete dell’Inter». Tra Ivanoe Bonomi e Ivanoe Fraizzoli, l’Uomo Nerazzurro non ha mai avuto incertezze.

Come non inchinarsi davanti a tanta franchezza e a tanta coerente passione. La stessa che in un’intervista a questo giornale, gli fece dire: «Celebrare il 25 aprile? Dipende. Di certo non sfilerò nei cortei per come si svolgono oggi, perché lì non si celebra una festa della libertà e della democrazia, ma qualcosa di completamente diverso, appannaggio di una certa sinistra». Super partes? Che significa super partes? Maddai, ancora qualcuno si aggrappa a queste romantiche fesserie? Se a me piace sputare in faccia alla sinistra, che faccio? Non gli sputo? Sanguigno e vitale.

L’intervista fece un certo rumore, Ignazio Benito divenne cupo e reagì con il consueto inappuntabile stile: «La Stampa è un foglio provinciale», dimostrando disprezzo per una magnifica e trasversale comunità di lettori (la nostra) e inevitabile sprezzo del ridicolo, non considerando il fatto che questo giornale ha centocinquantasei anni: ottanta in più del suo amatissimo e fiammeggiante partito del cuore, il cui ennesimo compleanno cadeva il 26 dicembre scorso, quando, con un equilibrato post su Instagram, l’Inarrivabile Ardimentoso scrisse queste commoventi parole: «Nel ricordo di mio padre, che fu tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano in Sicilia. E che scelse, con il Msi per tutta la vita, la via della partecipazione libera e democratica in difesa delle sue idee rispettose della Costituzione».

Si potrebbe aprire una larga discussione sulla compatibilità sostanziale tra la Fiamma e la Carta fondativa, ma qui rileva piuttosto sottolineare quel “per tutta la vita” che deve essere, nel codice littorio di Ignazio Benito, una sorta di giuramento fatto col sangue (la metafora piace molto dalle parti dei Palazzi Romani).

Dio, Inter, Patria e Famiglia. Quella dove ciascuno sta al suo posto. Il papà fa il papà e la mamma fa la mamma. Preferibilmente in cucina. Perché in questo bignamino di intelligente pensiero all’olio di ricino non può mancare il recente show sulla sua imperdibile ricetta preferita, spiegata con vivacità al pubblico plaudente in una delle mille presenze a titolo di “presidente del Senato-fondatore di Fratelli d’Italia-interista-ma soprattutto machista-cazzovuoista”. «Prendete nota, donne, di come si fa la pasta alla norma. E poi finiamo in fretta che devo andare a vedere l’Inter». Risate a non finire.

Sorge il sospetto che nel mondo rovesciato del Libero Ventunesimo Presidente la buona educazione sia un disonore e la villania un blasone. Ma, in fondo, per sintetizzare lo sgraziato larussismo che ci accompagna da oltre 40 anni (il Duce che ’Gnazio ostenta in casa durò appena la metà) è più utile ricorrere alla genialità di William Faulkner, «il passato non muore mai. Non è nemmeno passato».

 

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