Michela Marzano La Stampa 19 gennaio 2023
Il fumo fa male, ma all’aperto solo a me
«E allòra bévo», scriveva Eduardo De Filippo in una celebre poesia. «E chistu surz’e vino, vènce ‘a partita cu l’eternità!». Sono le prime parole che mi sono venute in mente quand’ho sentito parlare delle nuove restrizioni sul fumo (senz’altro giuste, non è questo il punto, cioè…, ma ci tornerò) annunciate dal ministro della Salute Orazio Schillaci.
Anche se Eduardo non parlava delle sigarette, certo. E sebbene ormai lo sappiamo tutti, io per prima, che il fumo fa male, anzi malissimo, e che a conti fatti cambia poco che si tratti delle sigarette tradizionali oppure delle Iqos oppure di qualche svaporizzatore – tanto io fumo tutto, alterno le bionde alle elettroniche, accumulo fumo e nicotina da così tanto tempo che non so nemmeno più quanti soldi abbia finora buttato via. E però fumo. E tanto. E non ne sono affatto fiera, ci mancherebbe! Ma non posso (e non voglio) farne a meno.
Le sigarette sono le mie stampelle, dico sempre a chi mi chiede quand’è che smetterò, subito dopo avergli detto che, molto probabilmente, non accadrà mai. Sì, lo so che mia madre ce l’ha fatta, che la mia migliore amica pure, che mio marito non ha mai fumato e detesta sentirmi addosso la puzza delle sigarette quando torno a casa, ma che ci volete fare se ho bisogno di una cosa, almeno una, che non controllo?
Che ci volete fare se è sul fumo che è andata a finire la mia scelta e che, adesso, ogni sigaretta è carica di simboli e aspettative – se non fumo non mi sveglio, se non fumo non scrivo, se non fumo non mi concentro, se non fumo non mi addormento, tutto e il contrario di tutto, tanto mica è una questione di logica o di razionalità, no? Ma questo riguarda me, potrebbe dirsi qualcuno leggendomi, chissenefrega di come ti comporti tu, che c’entra con la stretta sul fumo annunciata dal ministro Schillaci?
Anche se, un po’, c’entra. Perché un conto, almeno credo, è vietare ogni tipo di sigaretta nei luoghi chiusi: nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di imporre agli altri le conseguenze nefaste delle proprie dipendenze. Altro conto, è vietare il fumo anche all’aperto seppur solo quando si è in presenza di minori o di donne incinte. Quest’aspetto delle restrizioni non lo capisco.
Cos’è che, esattamente, si vuole vietare? Che qualcuno fumi addosso a un bambino? Difficile, però, immaginare che una fumatrice o un fumatore che conosca l’ABC dell’educazione e del rispetto sputi il fumo in faccia a una donna incinta o a un bambino o anche a qualsiasi altra persona gli sia accanto (a parte nei bunker degli aeroporti dove per forza di cose ci si trova gli uni addosso agli altri e dove, appunto, ho smesso da tempo di recarmi).
E quindi? È forse per l’esempio? Certo, l’esempio che si dà, quando si fuma, è pessimo; ma che cambia se ci si allontana di qualche metro? E poi, francamente, pure questa storia dell’esempio trova il tempo che trova – a cos’è servito, nel mio caso, il fatto che mio padre costringesse mia madre a non fumare mai davanti ai figli e che lui stesso non abbia mai fumato? A un certo punto della mia vita, ho iniziato a fumare, mentre mio fratello – stessa educazione, stessa famiglia, stesse scuole – il “vizio”, come piace a tanti chiamarlo, non l’ha mai preso. E poi anche basta con questa storia del vizio! la morale, con le sigarette, c’entra poco.
Il fumo è una dipendenza e, come sempre nel caso delle dipendenze, uscirne è un casino, anzi, direi che è quasi impossibile, a meno che non ci si accontenti di “cambiare oggetto” della dipendenza, e passare, ad esempio dal fumo all’alcol, e poi dall’alcol al cibo, e poi dal cibo al sesso, e poi dal sesso al lavoro… Vabbè. So già che pioveranno critiche a palate. E che mi arriveranno mille messaggi con in oggetto: VERGOGNA. Ma va bene lo stesso. Tanto lo cantava già De André molti anni fa: “Si sa che la gente dà buoni consigli, se non può più dare cattivo esempio”.