La lezione di Jacinda, è il tempo che va ripreso, non il potere

Elena Stancanelli La Repubblica 20 gennaio 2023
La lezione di Jacinda e il tempo del cambiamento
Jacinda Ardern avrà ragioni che la nostra ragione non conosce. Ma qualunque siano, quel che ha fatto, scegliere di dimettersi e quindi di cambiare vita, racconta chi siamo. Soprattutto cosa saremo, a giudicare dalla lentezza con cui da questa parte di mondo arrivano i cambiamenti.

Qui da noi lottiamo tenacemente perché tutto rimanga lo stesso. Più che mai adesso, che abbiamo eletto un governo incardinato su valori anti- moderni.

Dai diritti alle libertà sessuali, dall’immigrazione al feroce proibizionismo non facciamo altro che guardare indietro. Ma la battaglia è sfinente, oltre che inefficace. Si può, si deve, migliorare il mondo anche guardando avanti, approfittando di quello che la tecnica permette invece che tentare in tutti i modi di ostacolarla. Il lavoro è cambiato, e i ragazzi e le ragazze lo sanno bene.

Anche il Covid è servito a resettare i nostri bisogni e i desideri, spostando l’impiego più in là, allontanandolo dalle preoccupazioni primarie. Il tempo, abbiamo detto travolti dalla pandemia, è la cosa più preziosa. Se lo riempiamo di impegni, di appuntamenti, sveglie all’alba e gesti sempre uguali, lo sciupiamo e dunque lo sprechiamo. Il lavoro è uscito dal tempo, dal tempo quello buono, dentro il quale ci piace stare: il tempo, appunto, libero.

Le ragioni sono tante, e la prima è che lavoro ce n’è poco. Il lavoro si sta trasformando sempre di più nella ricerca del lavoro, quella sì assai alienante. Ma non solo: la presenza sempre più numerosa delle donne porta e porterà un’idea diversa di gestione dell’esistenza, e quindi anche del lavoro. Senza contare che possiamo fare molte più cose senza muoverci, e quindi abbiamo rivalutato il piacere di stare a casa.

E non tutto può essere fatto in smart working. Lavorare significa quasi sempre uscire, prendere freddo, mezzi pubblici inadeguati, raffreddori e virus diversi. Certo, significa anche incontrare gli altri, toccarli, annusarli. Ma possiamo sempre farlo nel tempo libero, o in vacanza. In ogni caso, sappiamo che qualsiasi cosa sceglieremo di fare non sarà per sempre. Abbiamo davanti due possibilità: scegliere di attaccarci furiosamente alla prima cosa che riusciamo ad afferrare, prolungandola più a lungo possibile, oppure approfittare della precarietà, farne un vantaggio.

So bene che per questo servono contratti diversi e soprattutto stipendi adeguati, mutui accessibili o meglio ancora affitti appropriati.

So bene che per avere una vita in cui si cambia professione anche più di una volta serve una società che ci supporti. Arriverà? Non potrà che essere così, e vale la pena di combattere per ottenerla prima possibile.

Anche perché il gesto della premier neozelandese insegna un’altra cosa: le società per come le stiamo immaginando sono sempre più complicate. Per far fronte all’aumento della popolazione, ai cambiamenti climatici, alle migrazioni di massa… tutto quello che sappiamo. Prevedono quindi un’agilità interpretativa che è prerogativa dei più giovani. Cervelli freschi di studi, allenati. Soprattutto in politica.

Pensate al nostro Paese, alla quantità di persone che abbiamo eletto incapaci di usare la tecnologia, inesperti nelle lingue straniere, impreparati a comprendere un mondo diversissimo da quello in cui sono nati, ma anche da quello in cui hanno studiato. È una specie di analfabetismo biologico quello che affligge il nostro tempo dominato dalla tecnologia. Basta vedere come ci rivolgiamo ai ragazzi e alle ragazze a scuola, infliggendo loro le nostre paranoie e smanie inutilmente coercitive, senza sapere cosa succede, chi sono, cosa cercano (per averne conferma basta ascoltare una qualsiasi delle dichiarazioni del ministro Valditara). Un mandato, due, tre … siamo ancora qui a cercare di decidere.

Ma la vera differenza non è il tempo che un politico passa in Parlamento quanto la sua efficacia. Persino l’esperienza ormai conta meno della brillantezza, del coraggio, della capacità di non farsi scoraggiare dalla complessità del presente. Governare significa mettere a disposizione il proprio talento e la propria energia per trasformare il proprio Paese in un posto migliore. Tutto il resto è potere.

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