Meloni: “Basta liti con le le toghe”

Francesco Olivo La Stampa 20 gennaio 2023
Meloni: “Basta liti con le le toghe”
Le offensive dell’ex procuratore rischiano di vanificare l’intenzione della premier di alleviare le tensioni con i magistrati

Quando Carlo Nordio ha attaccato i pubblici ministeri «ai quali questo Parlamento non deve essere supino e acquiescente alle loro affermazioni», un brivido è corso lungo la schiena di molti a Palazzo Chigi. Quando poi l’ex procuratore di Venezia è partito all’attacco dei giudici antimafia, lo stato d’animo della cerchia ristretta di Giorgia Meloni è peggiorato. La premier lo ha fatto capire in molti modi: non vuole aprire un fronte con le procure. La stagione berlusconiana, vissuta in prima persona, con conflitti permanenti tra poteri dello Stato, non è nemmeno lontanamente il suo obiettivo. Più che gli atti concreti, che Meloni rivendica, le esternazioni continue del suo ministro possono vanificare questo auspicio. Non è infrequente che singoli magistrati, ma anche esponenti delle associazioni di categoria, facciano presente agli interlocutori interni a FdI che così si rischia di riaprire vecchie ferite con il centrodestra. A queste obiezioni Meloni risponde che contano i fatti e le iniziative del governo non possono essere lette, è l’idea di FdI, come atti ostili alla magistratura.

Posto che l’idea di richiamare alla disciplina un personaggio del calibro di Nordio possa essere un esercizio velleitario, si cercano dei rimedi. Il principale, già partito da tempo, è dare più potere Andrea Delmastro, avvocato biellese, fedelissimo meloniano, nominato sottosegretario proprio per marcare stretto il ministro. Delmastro, che ieri ripeteva «stiamo con i pm antimafia», ha sempre più potere, ma c’è il rischio, come successo nei giorni scorsi, di finire in minoranza all’interno del suo ministero, vista la sintonia di Nordio con il viceministro di Forza Italia Francesco Paolo Sisto.

Quello che in Parlamento notano in molti è che, in fondo, non stia succedendo niente di strano: le posizioni di Nordio sono note da decenni e così anche il suo spirito di indipendenza. Perché allora nominarlo ministro? Un fedelissimo meloniano dà questa spiegazine: «Giorgia aveva bisogno di personalità di peso, se avesse scelto uno di noi, più affine alle sue idee, si sarebbe dovuta giustificare a lungo per il fatto di aver nominato gente sconosciuta. Ma noi contiamo di governare per 10 anni, e al prossimo giro toccherà a noi». In attesa dei prossimi decenni, Meloni ha sperato che, con Nordio in via Arenula, potesse reggere un equilibrio: coniugare garantismo e certezza della pena. Questo era stato l’obiettivo degli incontri tra l’allora leader di FdI e il magistrato in pensione, prima delle elezioni, ma è evidente che non è bastato.

L’arresto di Matteo Messina Denaro ha fatto scoppiare una serie di contraddizioni che tutti vedono, ma che solo in privato si commentano. Le differenze tra Meloni e Nordio sono sempre più evidenti, il rispetto e la stima reciproca non è in discussione, ma la visione del mondo non coincide quasi mai. Basti pensare che la premier si definisce «garantista nella fase delle indagini e del processo, ma dopo la sentenza sono giustizialista», una parolaccia per uno con la storia dell’ex magistrato veneziano. È sufficiente osservare le reazioni agli interventi che il ministro ha tenuto in Parlamento in questi ultimi due giorni per rendere palese un paradosso: il ministro viene elogiato dal Terzo polo, in parte dalla Lega, ma soprattutto da Forza Italia, che ha finito le lodi, «è un gigante», dice Matilde Siracusano, «coraggioso», aggiunge Giorgio Mulè, «la sua linea è nel nostro Dna», si complimenta Nazario Pagano.

Si potrebbe proseguire per ore, eppure solo tre mesi fa la scelta di mandare Nordio in via Arenula e non un ministro forzista, aveva suscitato in Silvio Berlusconi una rabbia sfogata in quel foglietto ricco di improperi contro Meloni, zoommato da un fotografo in Senato. Ora i berlusconiani devono ammettere, «nessuno di noi avrebbe avuto la forza e l’indipendenza che sta dimostrando lui». Di elogi se ne trovano meno scorrendo i commenti dei parlamentari di Fratelli d’Italia, o meglio ci sono, ma sono limitati a singoli provvedimenti, «bene sulla geografia giudiziaria», dice Chiara La Porta, «convincente sulla giustizia civile», spiega Daniela Dondi, mentre Luca Sbardella apprezza tra gli altri il passaggio «sulla polizia penitenziaria». Modi per mascherare un timore sempre più concreto: riaprire una stagione di conflitto con la magistratura.

 

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