La solitudine di Nordio: è gelo tra il ministro della Giustizia e Fratelli d’Italia

Francesco Grignetti La Stampa 22 gennaio 2023
La solitudine di Nordio: è gelo tra il ministro della Giustizia e Fratelli d’Italia
Anche il Carroccio prende le distanze. Il Guardasigilli costretto a smentire l’ipotesi di dimissioni: «Con Giorgia perfetta sintonia»

Come minimo, si dirà che è indispettito. Ma è un pallido eufemismo per nascondere la solenne arrabbiatura di Carlo Nordio. Il ministro della Giustizia, uomo dal pensiero indipendente e garantista adamantino, non ha per niente gradito la presa di distanze di questi giorni, più o meno sotterranea, da parte dei due partiti di centrodestra meno garantisti. Nell’ordine, Fratelli d’Italia e Lega. Ma se del secondo ha ben chiara la parabola, e ha sempre messo in conto qualche distinguo, è del «suo» partito che si sta lamentando in giro. Non se l’aspettava. Si sente tradito. Né gli è sfuggito, due giorni fa alla Camera, che il suo discorso tutto all’attacco dei magistrati italiani, categoria che ben conosce essendo stato decenni alla procura di Venezia, è stato interrotto spesso e volentieri dagli applausi scroscianti di Forza Italia e del Terzo Polo. Meno, molto meno, dagli eletti di Giorgia Meloni.

La storia che il governo sta studiando una misura-bavaglio per i giornalisti che pubblichino intercettazioni «irrilevanti», con annesse multe per i media inadempienti, per dire, Carlo Nordio, l’ha scoperta dai giornali. Il sottosegretario Andrea Delmastro, che pure condivide i corridoi del palazzo umbertino di Via Arenula, ed è l’uomo che sussurra di giustizia alla premier, ne ha parlato in televisione, non con lui. E così ieri, a chi gli chiedeva lumi, il ministro ha sibilato: «Le cose del sottosegretario, chiedetele al sottosegretario».

Un grande gelo, insomma, sembra sceso tra il Guardasigilli e il partito di Giorgia Meloni, che pure si è spesa molto per convincerlo a candidarsi con Fratelli d’Italia e per imporlo come ministro. Eppure nelle ultime ore il freddo è sceso anche con lei, si dice. E con il sottosegretario alla Presidenza, Alfredo Mantovano, un altro magistrato di lungo corso prestato alla politica, il quale fa del silenzio assoluto la sua cifra.

Nordio non avrebbe apprezzato neppure il cordiale invito a prendere tempo e frenarsi nelle esternazioni. La sua ira è tracimata al punto che si era sparsa la voce di dimissioni imminenti. È stato costretto a smentire: «Non ho mai minimamente pensato – ha scritto in una breve nota – a dimettermi. In primo luogo perché con la premier siamo in perfetta sintonia. Poi perché le critiche, soprattutto quelle espresse in modo scomposto ed eccentrico, sono uno stimolo a proseguire».

Nordio si fa forte soprattutto degli applausi ricevuti in Parlamento. «La mia risoluzione sulla giustizia è passata con 100 voti contro 50 al Senato, e con la stessa percentuale alla Camera, con una standing ovation anche da una parte dell’opposizione. Le voci sulle nostre divisioni interne sono manifestamente smentite dai voti».

Ora, che Nordio dovesse affrontare un certo apprendistato era scontato nel governo. In queste settimane ci sono state molte occasioni per parlarne con palazzo Chigi. Lui stesso, qualche giorno fa, vi aveva fatto cenno con ironia al Senato: «La mia replica sarà brevissima, come è consuetudine, e come mi è stato insegnato, visto che sono un neofita della politica».

Quello che però ai piani alti del centrodestra gli imputano è di avere aperto uno scontro di cui non si sentiva la necessità. La premessa immancabile è che c’è da gestire la velocizzazione dei processi, perché è questione di vita o di morte con il Pnrr; tutto il resto, ossia le grandi riforme, seguirà. E invece Nordio s’era gettato a capofitto negli annunci: sulla separazione delle carriere, sulla discrezionalità dell’azione penale, sulle intercettazioni, sulla mafia che non c’è così tanto. Il risultato è che la magistratura s’è compattata e s’è fatta sentire. E il governo è corso ai ripari.

Si racconta di una riunione tesa con palazzo Chigi, dove l’hanno spinto a cambiare segno nella replica alla Camera. La linea ora è ricucire con i magistrati, altro che approfondire la crisi. Salvini al riguardo è stato perfino brutale: «Ritengo che lo scontro politica-magistratura debba essere superato». Ma lo stesso input viene anche da Giorgia Meloni. E invece Nordio è quello che invita il Parlamento a non essere «supino» ai pm. Di sicuro, l’ex magistrato non ha una concezione sacrale della giustizia. Due giorni fa ha celebrato così la memoria del beato Rosario Livatino, il giovane magistrato ucciso dalla mafia: «Questa reliquia insanguinata – ha detto. ci ispira la Giustizia. Non tanto e non solo quella mondana, per la cui incomprensibilità Giobbe inviava al Signore le sue lamentele: sappiamo bene che in questa “civitas hominis” il giusto è spesso oppresso dal dolore, mentre il maligno gode della sua iniquità».

 

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