Charles Michel: “Nessuno vince da solo. Nuovi fondi comuni per l’economia Ue”

Claudio Tito La Repubblica 23 gennaio 2023
Charles Michel: “Nessuno vince da solo. Nuovi fondi comuni per l’economia Ue”
Il politico belga, presidente del Consiglio europeo, chiede alla Commissione di presentare subito un piano a difesa della competitività dell’Unione per rispondere ai sussidi Usa: “Dare solo maggiore flessibilità agli aiuti di Stato penalizza i Paesi più indebitati. La solidarietà ora è necessaria”

Questa non è una fase ordinaria per l’Unione europea. Stanno cambiando i «paradigmi» su cui è stata costruita. E per questo servono risposte in tempi brevi. Immediate. Non si può aspettare «marzo o aprile». In particolare sul piano economico. Bisogna mettere a disposizione dei 27 risorse per affrontare la crisi. Soldi per fronteggiare ad esempio il piano di aiuti messo in campo dagli Usa.

Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, chiede alla Commissione di presentare una proposta concreta già al prossimo summit di febbraio. E nella sua ricetta c’è almeno l’estensione del fondo Sure già attivo per aiutare lavoratori e aziende, e l’introduzione di un Fondo Sovrano europeo che faccia perno sulla Bei, la Banca europea per gli investimenti.

Senza chiudere la porta a nuove misure attraverso debito comune come è avvenuto per il Recovery fund e soprattutto senza affidare tutto alle distorsioni degli aiuti nazionali che assegnerebbero un vantaggio competitivo a Germania e Francia. «Sono assolutamente convinto – dice al rientro dalla sua missione in Ucraina – che il 2023 sarà decisivo per il prossimo decennio. Dovremo dare risposte rapide su economia, migranti, energia e difesa comune. Abbiamo bisogno di un’Europa forte».

Per avere un’Europa forte, in grado anche di aiutare l’Ucraina contro la Russia, serve un’economia forte.
«C’è un collegamento molto stretto tra Kiev e crescita economica. Per noi è fondamentale non aprire la porta alla frammentazione del mercato interno. Sarebbe un errore esaminare la situazione caso per caso. Servono regole comuni».

Ma come?
«Abbiamo bisogno di rendere più flessibili i mezzi esistenti nel sistema dei fondi Ue. Ad esempio, estendendo il fondo Sure. È il modo più semplice per garantire solidarietà tra i partner perché sappiamo che non tutti gli Stati hanno le medesime capacità. Serve poi un fondo sovrano. Su questo ci vorrà più tempo, non è una risposta a breve termine ma bisogna prendere una decisione il prima possibile almeno sui principi di base. Se decidiamo di socializzare gli investimenti nella transizione verde e digitale, possiamo anche socializzare i benefici. Possiamo essere i padroni del nostro destino».

Un fondo sovrano basato su quale strumento?
«La Bei dovrebbe essere il fulcro di questo progetto. Possiamo avviarlo su base volontaria senza costringere nessuno. Dobbiamo anche concordare una politica commerciale comune. E dire ai nostri amici americani che il loro piano di aiuti va rivisto. Al prossimo Consiglio europeo spero che la Commissione presenti una proposta complessiva su tutto questo».

Come potrebbe la Bei con questo fondo sovrano iniettare capitali nelle società?
«Posso solo dire che molti Stati hanno già fondi sovrani. La Bei è lo strumento dell’Ue che può essere la base per un fondo sovrano europeo. Ci troviamo dinanzi a una situazione nuova, servono strumenti nuovi. I parametri che pensavamo fossero intangibili vengono messi in discussione. Il mondo sta cambiando. La Brexit ci ha posto una problema di parità di condizioni. Anche il piano americano non è banale e allora dobbiamo avere gli occhi aperti. Quando c’è stato il Covid abbiamo assunto decisioni necessarie. Dobbiamo farlo anche ora. Lo dico da liberale: si possono socializzare i mezzi per trasformare l’economia».

È davvero possibile allentare le norme sugli aiuti di stato per competere con gli Usa e mantenere il mercato interno salvo con una competizione corretta? Alcuni stati europei, come la Germania, hanno fatto da soli.
«Se alla fine diamo maggiore flessibilità agli aiuti di Stato e basta, allora è vero che c’è un problema perché significa che per alcuni paesi c’è un rischio di concorrenza sleale. Il pacchetto deve essere complessivo».

Quanto allarme c’è tra i 27 governi sul rischio di frammentazione e disparità?
«C’è preoccupazione, ne abbiamo discusso già a dicembre. In seguito al piano Usa e non solo. Sappiamo che non tutti hanno uno spazio fiscale da usare e quindi dobbiamo essere molto creativi».

È possibile un altro Recovery fund e quindi altro debito comune per evitare distorsioni del mercato interno e allo stesso tempo aiutare l’industria?
«La mia osservazione è innanzi tutto che dobbiamo fornire maggiore flessibilità ai fondi esistenti perché non tutti sono stati utilizzati al meglio. Il fondo Sure è il modo più efficiente per un accordo politico e superare la sfida di solidarietà per assicurare a tutti la stessa posizione e investire nelle nostre economie».

Eppure il 75% degli aiuti di Stato nell’Ue sono stanziati da Germania e Francia. Non c’è il rischio che sia la fine del mercato unico?
«Certo sono numeri molto interessanti e impressionanti, ma sarebbe più corretto usare i numeri relativi al Pil. Si avrebbe un quadro diverso. In ogni caso, è questo il motivo per cui dobbiamo sbrigarci. Agire subito. A gennaio e non a marzo o aprile. La Commissione deve presentare una proposta concreta».

Quindi l’idea di un nuovo Recovery fund e di nuovo debito comune è morta?
«No, ho evitato una risposta chiara a quella domanda perché vedo più realistico e efficace puntare sul fondo Sure. Questa è la strada possibile per un’intesa. Proviamo soluzioni creative per raggiungere subito un obiettivo, poi si vedrà».

Che sensazioni ha tratto dal suo ultimo viaggio in Ucraina?
«Ho sentito l’estrema determinazione delle autorità di Kiev. C’è la consapevolezza di un possibile massiccio contrattacco da parte della Russia. Per questo bisogna dare risposte in termini di fornitura di attrezzature militari ed addestramento. Bisogna mantenere le sanzioni. Stiamo discutendo un altro possibile pacchetto aggiuntivo. Ecco, la tenacia è la chiave per ottenere risultati».

Ma quando partirà la ricostruzione?
«Abbiamo già iniziato. Il quesito fondamentale riguarda i beni congelati e la possibilità di utilizzare i beni confiscati per la ricostruzione. Abbiamo già bloccato 300 miliardi di euro di beni russi. Dobbiamo verificare cosa possiamo fare nel rispetto dello stato di diritto».

Cosa significherebbe per l’Europa una vittoria russa e cosa può fare l’Europa per evitarla? Non tutti i partner europei sembrano così determinati.
«Siamo stati in grado nonostante tutte le difficoltà di mantenere la nostra unità. Anche sugli aiuti militari: abbiamo impiegato 50 miliardi di euro. Una vittoria russa significherebbe un’Europa non sicura e non libera. Se si accettasse questa possibilità sarebbe un precedente pericoloso per la sicurezza del continente europeo. Non potremmo proteggere i nostri figli».

In effetti, però, è in corso una discussione sulla fornitura dei carri armati. Soprattutto in Germania. Lei cosa si aspetta?
«Diversi Stati membri hanno tradizioni diverse per quanto riguarda la consegna di armi, come la Germania. Certo è in corso un dibattito sui carri armati. Berlino è uno dei principali fornitori di armi all’Ucraina, non possiamo dimenticarlo. Questo è un momento decisivo per la vittoria e per la pace. E Kiev va sostenuta in tutti i modi».

Ha parlato con Zelenski dell’ingresso nell’Ue?
«Vogliamo accelerare il processo. E stiamo verificando cosa è possibile e cosa no. In primavera ci sarà un rapporto su questo».

Lei ha parlato di 300 miliardi di euro confiscati. Cosa ne pensa dell’idea lanciata dalla Commissione di istituire un fondo che li gestisca per produrre profitti da impiegare nella ricostruzione? E quando ci potranno essere passi concreti?
«La gestione dinamica dei beni è solo una parte del dibattito».

Si aspetta altre difficoltà dall’Ungheria sulle sanzioni?
«Ripeto ciò che ho detto molte volte in passato. Alla fine abbiamo sempre adottato decisioni all’unanimità».

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