Piero Fassino: “La Torino cosmopolita di Gianni Agnelli, modello sociale dell’Italia del Novecento”

Piero Fassino La Stampa 23 gennaio 2023
Piero Fassino: “La Torino cosmopolita di Gianni Agnelli, modello sociale dell’Italia del Novecento”
Si potrebbe dire che l’Avvocato ha lasciato la vita terrena nel momento in cui veniva esaurendosi il modello produttivo e sociale incarnato dalla Fiat

La scomparsa dell’Avvocato Agnelli è coincisa con un mutamento storico dell’identità e dalla vita di Torino. Si potrebbe dire che l’Avvocato ha lasciato la vita terrena nel momento in cui veniva esaurendosi il modello produttivo e sociale incarnato dalla Fiat.

Per quasi cento anni – dalla fine dell’800 agli anni ’80 del ’900 – Torino è stata la principale factory town italiana. Se Milano e’ stata la capitale economica del Paese – in un intreccio virtuoso di industria, terziario e finanza – Torino ne è stata la capitale manifatturiera, il luogo della fabbrica industriale, la città dove – come diceva in dialetto il presidente degli industriali metalmeccanici Walter Mandelli – “a cuntu i toc”, contano i pezzi che produci.

E cuore di quel mondo era la Fiat, Fabbrica Italiana Automobili Torino, intorno a cui ruotava l’intero sistema economico della città con i suoi mega stabilimenti Mirafiori 60 mila lavoratori, Rivalta 25 mila, Lingotto 10 mila, Chivasso 7 mila, Iveco 7 mila. E intorno a quella cattedrali industriali un universo di aziende di ogni dimensione di quello che allora si chiamava “indotto” e che oggi con espressione più professionale chiamiamo componentistica.

Ma la Fiat non era solo un’azienda, bensì un sistema sociale che offriva ai suoi dipendenti le case Fiat, la Mutua aziendale Malf (quando ancora in Italia non esisteva il servizio sanitario per tutti), la scuola professionale Allievi, il Centro Sportivo Fiat, le colonie per i figli dei dipendenti. E poi La Stampa, il quotidiano che entrava in tutte le famiglie, la Juventus orgoglio sportivo nazionale. E perfino l’aperitivo firmato Cinzano. Una forma di capitalismo sociale che lungo il ’900 ha accompagnato lo sviluppo industriale del Paese e di cui a Torino rimangono ancora le vestigia, come le case Snia e il Villaggio Leumann. Un capitalismo sociale che a Ivrea, a pochi chilometri da Torino, ebbe la sua manifestazione più alta nella straordinaria esperienza industriale e culturale di Adriano Olivetti.

Quella Torino fu anche culla del movimento operaio e delle sue organizzazioni politiche e sindacali che lungo un secolo hanno segnato l’identità della città. E del conflitto sociale politico che ha avuto a Torino luogo centrale. Non a caso nacquero qui la prima Camera del Lavoro italiana e la prima Associazione industriali. Qui a contatto quotidiano con il mondo del lavoro maturò l’esperienza di Antonio Gramsci e dell’Ordine nuovo, del pensiero liberaldemocratico di Piero Gobetti e Augusto Monti, del cattolicesimo sociale del Cottolengo, di Don Bosco, Don Orione, Don Cafasso. La Torino che non si piegò al fascismo e con gli scioperi del marzo ’43 guidò la riconquista della libertà.

La Torino che nel dopoguerra fu motore – insieme a Milano e Genova – della ricostruzione postbellica e del miracolo economico, divenendo meta di un esodo migratorio dal Mezzogiorno che porto’ in città centinaia di migliaia di nuovi torinesi affluiti qui perché c’erano la Fiat e il lavoro.

Anni esaltanti di crescita economica e promozione sociale, ma anche di duro scontro sindacale e politico, segnato dalla discriminazione e dai licenziamenti per rappresaglia di migliaia di militanti comunisti, socialisti e della Cgil. Discriminazioni che non piegarono la combattività sindacale che negli anni ’60 e ’70 – in un contesto politico segnato dal superamento del centrismo e dall’avvento del centrosinistra – videro la Fiat essere il luogo di nascita dei delegati di reparto, dei Consigli di fabbrica e della unità sindacale nella Flm, la Federazione Lavoratori Metalmeccanici.

Sono gli anni in cui Gianni Agnelli prende nelle sue mani la Fiat, per anni affidata a Valletta. E si apre una fase di relazioni sindacali fondata sulla contrattazione aziendale e su una concertazione che avrà il suo culmine nell’accordo Agnelli-Lama sulla scala mobile, il meccanismo di adeguamento automatico dei salari alla dinamica dell’inflazione. Anni tuttavia terribilmente funestati dalla offensiva terroristica che mise la Fiat, i suoi dirigenti, i suoi capisquadra al centro dell’attività omicida. Terrorismo che fu isolato e sconfitto da una corale mobilitazione dell’intera città.

Quella Torino conobbe il suo esaurimento all’inizio degli anni ‘80 quando la Fiat manifestò un crescente affanno a reggere i più alti livelli di competitività suscitati dall’incipiente globalizzazione. E lo scontro duro che si aprì tra la volontà di ristrutturazione dell’azienda e la resistenza del sindacato – culminata nella marcia antisindacale dei 40 mila – segnò la chiusura di un’epoca e di un modello produttivo e sociale.

Da lì si aprì un ciclo del tutto diverso nella vita di Torino. La città comprese che quel modello – di cui Fiat era motore e simbolo – che aveva garantito per un secolo lavoro, prosperità, conquiste sociali si era inceppato e che il futuro non avrebbe più potuto essere assicurato dalla Fiat. Il primo decennio fu duro, segnato dal rischio di un incombente declino. Poi dall’inizio degli anni ’90 la città iniziò a percorrere un cammino nuovo. Senza rinunciare al suo profilo industriale, intraprese nuove vocazioni: l’innovazione tecnologica favorita dal background industriale, l’alta formazione sostenuta da due università di eccellenza, lo sviluppo di servizi terziari e finanziari, la valorizzazione dell’ampio patrimonio culturale e museale, il turismo, lo sport con le Olimpiadi invernali.

Una trasformazione che vide Torino passare dall’essere “città a una vocazione” – l’auto e la Fiat – a città dall’identità plurale. Un processo accompagnato da una riqualificazione urbanistica che ebbe la sua principale leva proprio nell’utilizzo degli stabilimenti industriali dismessi. E così il Lingotto, nato nel 1917 come primo stabilimento industriale italiano di produzione fordista, divenne sede del centro fieristico della città, del master di ingegneria della mobilità, di attività commerciali e terziarie, di eventi cultuali. Il simbolo di un’altra Torino, che l’avvocato Agnelli non solo non osteggiò, ma volle accompagnare trasferendo proprio al Lingotto la direzione del gruppo – in tanto allargatosi all’acquisizione della Chrysler – dalla storica sede di corso Marconi.

Ancor di più negli anni che ci conducono ad oggi, Torino ha diversificato il suo profilo, senza tuttavia mai smarrire le sue radici e consapevole di quanto la forza e l’autorevolezza della città sia stata costantemente alimentata dal ruolo centrale della Fiat nel capitalismo italiano. Un ruolo che l’avvocato Agnelli, con la visione cosmopolita che lo caratterizzava, ha dilatato collocando Torino su orizzonti internazionali. Una città che l’Avvocato ha amato, da cui non si è mai allontanato e di cui era orgoglioso. Ricambiato in questo dalla stima e dall’affetto dei torinesi, che in enorme moltitudine vent’anni fa sfilarono alla sua camera ardente per tributargli un ultimo grato saluto.

 

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