Alessia Candito La Repubblica 23 gennaio 2023
“La mafia non è morta ma c’è chi vuole rottamare il 41 bis”
Intervista all’ex procuratore, ora senatore dei Cinquestelle. Lo stragista ha avuto protezioni eccellenti con infiltrazioni anche negli apparati investigativi. Le aristocrazie criminali permeano il sistema di potere occulto anche se oggi non serve sparare.
Sulle intercettazioni Nordio fa finta di non sapere che la mafia si individua colpendo la corruzione
«Se passa l’idea che con l’arresto di Matteo Messina Denaro la mafia sia stata sconfitta, la legislazione antimafia è a rischio».
Oggi senatore della Repubblica per i Cinquestelle, da procuratore Roberto Scarpinato ha indagato a lungo su Matteo Messina Denaro.
Pezzo per pezzo ha smantellato e confiscato il suo impero — nell’eolico, nella grande distribuzione, nell’edilizia, nel turismo — per anni ha seguito le tracce del superlatitante, come di chiunque potesse avere a che fare con lui. E di “Iddu” dice «non è stato un capomafia come tanti».
Chi è Matteo Messina Denaro?
«Insieme a pochissimi altri, è stato una delle interfacce tra la mafia e le “menti raffinatissime” che hanno pianificato la strategia stragista del ’92-93 affidando ai mafiosi prima il ruolo di braccio armato, poi di unici capri espiatori. Un’operazione di sistema da specialisti della strategia della tensione che a Palermo, Firenze, Milano e Roma, hanno utilizzato il linguaggio cifrato delle bombe per pilotare la transizione dalla Prima alla Seconda repubblica in modo indolore».
Nello specifico, cosa è successo?
«Era necessario, come in passato, continuare a garantire l’impunità dei mandanti delle stragi neofasciste, di pezzi di Stato che avevano protetto gli esecutori, di capimafia autori di delitti politici eccellenti, dei vertici della massoneria deviata. Per questo si temeva l’avvento di una nuova maggioranza politica e di uomini come Falcone, Borsellino, Violante, De Gennaro e altri in posti chiave come il ministero degli Interni, della Giustizia, i vertici di polizia e servizi, la Procura nazionale antimafia».
Risultato?
«Unwar game fra lo Stato legalitario e quello “occulto” che si è chiuso con transazione: carcere per la componente militare, salvezza per i“principi” reinseriti nel nuovo ordine politico della Seconda Repubblica».
Cosa sa Messina Denaro di tutto questo?
«Lui e pochi altri boss stragisti attualmente all’ergastolo sanno quanto basta per fare saltare la narrazione pubblica di stragi di esclusiva matrice mafiosa e per chiamare in causa molti “santi del paradiso”. Non è un caso che sia rimasto latitante per decenni».
Su che rete di protezione ha potuto contare?
«Non solo locale e neanche limitata a circuiti massonici bene inseriti negli apparati istituzionali. È una questione di sistema. Più volte, abbiamo avuto il sentore che sapesse come si stessero muovendo le indagini. Il pedinamento della madre e della sorella in una occasione è saltato perché l’auto degli investigatori è stata fermata dalla stradale. Ci sono sentenze che confermano come gravi fughe di notizie si debbano a insospettabili inseriti in apparati investigativi».
Eppure adesso la sua latitanza si è conclusa
«I boss all’ergastolo stavano esaurendo la pazienza. I segreti di cui sono depositari sono una polizza assicurativa per la libertà, ma anche un’invisibile prigione perché sanno bene che i “santi del paradiso” non possono essere sfidati apertamente.
I tempi però sono cambiati. La mafia è stata cancellata dall’agenda politica. Dopo la riforma dell’ergastolo ostativo, che oggi consente l’uscita dal carcere anche a coloro che si rifiutano di collaborare, adesso manca solo l’ultimo step».
Che sarebbe?
«Abolire il 41 bis che a tutt’oggi impedisce ai boss stragisti di usufruire della riforma».
Ma questo che ha a che fare con la cattura di Messina Denaro?
«Lo ha spiegato Giuseppe Graviano facendo annunciare al suoportavoce Salvatore Baiardo che Messina Denaro era gravemente malato e si sarebbe fatto arrestare, evento che lui stesso ha definito “intrecciato” alla speranza di una progressiva uscita dal carcere degli altri boss stragisti. Si tratta ora di attendere e di fare consolidare nella pubblica opinione la narrativa di una mafia sconfitta, ponendo così le premesse per il definitivo smantellamento delle leggi speciali antimafia, incluso il 41 bis».
Diventerebbe possibile perché la mafia non sarebbe più considerata un pericolo?
«E sarebbe un errore straordinario.
Le aristocrazie mafiose sono una componente del sistema di potere occulto italiano che quando è necessario usa la violenza, altrimenti si avvale di altri strumenti, come la corruzione. Oggi non serve sparare».
Per quale motivo?
«Alle mafie interessa fare soldi. E per esempio, il nuovo codice permette a un sindaco di gestire appalti fino a 500mila euro e la nuova disciplina dell’abuso d’ufficio rende non perseguibili tutte le attività discrezionali. Altre riforme, come quella sulle intercettazioni, sono in cantiere per limitare i poteri di indagine sui colletti bianchi. Che bisogno c’è della violenza?».
Il ministro Nordio sostiene che non riguarderà i reati di mafia
«Il ministro sembra far finta di non sapere che la mafia si individua perseguendo altri reati, come quelli connessi alla corruzione, che provoca danni per miliardi al Paese.
C’è una mafia popolare con le sue attività ad alto rischio come estorsioni e droga e una borghesia mafiosa sempre più integrata nell’establishment. Dovesse passare questa riforma continuerà a essere perseguita la mafia visibile, che controlla il territorio, spaccia, fa estorsioni, ma chi la governa rimarrà al riparo».