Massimo Recalcati La Repubblica 24 gennaio 2023
Perché voterò Majorino
La Lombardia è governata da trent’anni dal centrodestra. Serve una svolta, per la Regione e anche per il Pd
Il Pd è come un ragazzo smarrito in ricerca perenne di una identità. A Roma la discussione sul suo futuro assume toni sempre più farseschi rivelando un disagio profondo. Il paziente è in una condizione post-traumatica: ripete senza tregua proprio quello che lo ha frantumato. Accade clinicamente nei soggetti che hanno subito dei traumi: anziché cambiare, separarsi da ciò che li ha fatti ammalare, ripetono incessantemente lo stesso copione. Come in quei reduci di guerra che non riescono a staccarsi dall’orrore delle loro visioni. Non un atto di discontinuità, non uno scatto in avanti, non una apertura al nuovo. Ma mentre il Pd romano guarda il proprio ombelico chiedendosi per l’ennesima volta chi è, a Milano il volto di Giulio Gallera campeggia in diversi luoghi della città, sfila sorridente impresso sui taxi, incombe assillante in piccoli o enormi cartelloni che sponsorizzano la sua campagna elettorale per essere rieletto in Regione Lombardia. L’attuale presidente, Attilio Fontana, non è da meno, anche se in modo un po’ meno sfacciato del suo ex assessore al Welfare.
Osservando con un certo sgomento la loro riapparizione, mi sono chiesto quanto il sentimento della vergogna non trovi più diritto di cittadinanza nella vita politica. Andrebbe invece fortemente rivalutato. In psicoanalisi questo sentimento viene considerato come una anticamera di quello dell’assunzione delle proprie responsabilità. Lo diceva anche Tolstoj: fai attenzione a coloro che non conoscono vergogna… I lombardi conoscono bene il totale sbando della Regione di fronte al trauma della pandemia che ha spinto, tra l’altro, lo stesso assessore Gallera al gesto delle dimissioni. Non si trattava però solo dell’impreparazione di fronte ad un nemico imprevedibile e potente, ma di una politica sanitaria male impostata che ha progressivamente svuotato il servizio pubblico territoriale a favore di una privatizzazione selvaggia. Il Covid fu, dunque, una specie di cartina tornasole che rese manifesta l’incoerenza di una politica più generale.
Lo si vede oggi in modo clamoroso con le attese infinite al pronto soccorso e alle prenotazioni per gli esami specialistici. Ma il centro destra governa la nostra regione da quasi trent’anni. E la sua miopia non investe solo la sanità ma lo sviluppo in generale della Lombardia. Una straordinaria potenzialità non trova traduzioni politiche efficaci. Inquinamento tra i più alti in Europa, sistema dei trasporti inadeguato, incapacità di utilizzare in modo propulsivo i fondi europei, assenza di un programma di rilancio e valorizzazione della cultura, ecc. Non sono stati sufficienti nemmeno il declino di Formigoni e le sue clamorose vicende giudiziarie per aprire gli occhi ai lombardi.
In questa regione, Pierfrancesco Majorino è il candidato del Pd. Molti lo conoscono per il suo notevole lavoro nella città di Milano come assessore alle Politiche sociali. La sua biografia è trasparente e parla per lui: descrive un uomo che, in un tempo dove la politica è spesso teatro di corruzione e di cattivi esempi, ha interpretato la vita politica come vocazione per il bene comune, con un senso profondo delle istituzioni che trascende il proprio Ego, con una attenzione particolare per le politiche di accoglienza e di integrazione, per l’importanza dell’impresa e del lavoro, della cultura e della istruzione pubblica, delle associazioni e della dimensione comunitaria della vita dei territori e della città. Chi lo conosce sa quanto si stia spendendo per dare alla Lombardia la possibilità del cambiamento. Mentre il Pd romano si chiede chi è guardandosi dismorfobicamente allo specchio, Majorino, messo di fronte all’ennesimo fallimento di una candidatura unitaria dello schieramento progressista-riformista, ha fatto leva sulla spinta della sua azione tra la gente e le associazioni, nelle nostre città, nelle province e nelle valli. La possibilità del nuovo può passare solamente da atti capaci di bucare la sterilità dei ragionamenti sulle alleanze e sulla distribuzione dei posti di potere. È attorno alla sua decisione di incarnare il nuovo che sta radunando sorprendentemente attorno a sé un consenso sempre più trasversale e sempre meno partitico.
La Lombardia può divenire un laboratorio politico al quale il Pd romano potrebbe guardare anziché rimirarsi allo specchio? Saprà Majorino stesso non lasciarsi affossare dalle beghe di bottega della piccola politica ma tenere alto il suo desiderio, il suo pensiero, la sua scommessa? La distanza dal candidato conservatore si è notevolmente accorciata in questi ultimi giorni. La sua impensabile elezione non darebbe solo alla Lombardia un governo finalmente progressista in grado di pianificare le riforme necessarie a rendere la nostra regione sempre più europea, ma offrirebbe all’ampio e variegato schieramento del centrosinistra una effettiva speranza di rinnovamento. Chi ama la politica non può non amare lo sforzo poetico di Pier Francesco Majorino.