Europa e Stati Uniti, la nostra resistenza. Perchè Zelensky no a Sanremo?

Paolo Mieli Corriere della Sera 26 gennaio 2023
Europa e Stati Uniti, un fronte che resiste
Più che l’invio dei carri armati all’Ucraina quel che conta (e che irrita Mosca) è il valore simbolico del fatto che ancora una volta l’alleanza a sostegno di Kiev abbia tenuto

 

Non è vero che con il discorso pronunciato ieri sera dal presidente americano Biden e la decisione congiunta di Stati Uniti ed Europa di inviare in Ucraina — con modalità diluite nel tempo — alcune decine di carri armati di nuova generazione si sia saliti di un gradino sulla scala che porta alla guerra mondiale. Forse è stato consentito all’Ucraina di resistere ancora per l’anno in corso. Niente di più.

Del resto, gli stessi russi minimizzano il potenziale impatto dei carri armati tedeschi e americani. In assoluto, quel che conta — e che irrita Mosca — è il valore simbolico del fatto che ancora una volta Stati Uniti ed Europa sono riusciti a restare assieme. E, se guardiamo indietro all’anno iniziato con l’aggressione del 24 febbraio 2022, ha del miracoloso che il fronte della Nato non sia inciampato nelle numerose pietre che ha incontrato sul suo cammino.

Allo stesso modo ha dello straordinario il fatto che il Parlamento italiano si sia impegnato a comportarsi nel 2023 negli identici modi degli undici mesi trascorsi. Certo, si è perso per strada il M5S. Ma Giuseppe Conte già a luglio provocò la crisi del governo Draghi per rimettere in discussione le modalità del sostegno italiano all’Ucraina.

Assai importante è invece che il Pd sia rimasto sostanzialmente sulle posizioni che ebbe l’anno scorso. E che sia rimasto compatto (con l’eccezione di qualche elemento proveniente dalla diaspora bersaniana). A Enrico Letta va riconosciuto il merito d’aver inchiodato saldamente il partito a posizioni atlantiche. Posizioni che, chiunque vinca al prossimo congresso, dubitiamo saranno tenute in vita con altrettanta convinzione. Nel Pd, al di là di chi sarà il prossimo segretario, avrà un peso maggiore la componente «filocontiana».

E, ad ascoltare i rumori di fondo, appare possibile che prendano il sopravvento personalità più refrattarie a rinsaldare il rapporto con l’Alleanza atlantica. Tant’è che la questione del «pacifismo» (forse di proposito) è stata tenuta fuori — al di là di qualche cenno assai generico — dalla non breve campagna che porterà all’elezione del nuovo vertice.

Del resto, di posizioni pacifiste o sottilmente filorusse, ne sono emerse in tutta Europa. Anche negli Stati Uniti e in tutti i Paesi i cui governi, pure, hanno preso le parti dell’Ucraina. Una cosa assolutamente normale, fisiologica, del tutto prevedibile. Di più: ci saremmo preoccupati se avessimo ascoltato solo voci inneggianti alla guerra come capitò quasi ovunque nel 1914 alla vigilia del primo conflitto mondiale. Bisogna anche riconoscere che talvolta nelle argomentazioni dei predicatori che fin dal giorno successivo a quello dell’invasione russa hanno sostanzialmente suggerito a Kiev di arrendersi, si son potuti cogliere ragionamenti meritevoli di un qualche interesse e di essere pubblicamente discussi.

Ma solo in Italia questi ragionamenti sono stati poi accompagnati da espressioni di dozzinale dileggio nei confronti di Zelensky.  Zelensky — secondo loro — altro non sarebbe che un disgraziato attorucolo, in cerca di visibilità, cinico, nemico — per convenienza — di ogni soluzione pacifica. Sono piuttosto i pacifisti di sinistra che volentieri hanno ripiegato su questo genere di denigrazione. Quelli cattolici — va riconosciuto — raramente hanno fatto ricorso all’oltraggio antizelenskiano. Ed è una differenza non trascurabile.

Quanto alla questione in sé, ad ogni evidenza Zelensky non può essere considerato alla stregua di una reincarnazione di Winston Churchill. Ma è innegabile che sia stato sorprendentemente all’altezza dei tempi in cui gli è capitato di vivere. Ogni suo singolo atto può legittimamente essere messo in discussione. Come è per ognuno di noi. Ma non si comprende da dove scaturisca un tale bilioso disprezzo nei suoi confronti.

In Italia poi questo genere di dibattito prende regolarmente una piega tutta particolare. Circola qui da noi perfino un appello per boicottare la presenza del leader ucraino al festival di Sanremo. Con tanto di manifestazione convocata per l’11 febbraio, serata finale dello spettacolo al teatro Ariston della cittadina ligure. Si sono espressi — non da soli — contro la presenza (in video) di Zelensky a Sanremo Massimo Fini, Vauro, Moni Ovadia. «L’arroganza, insieme a un’innata volgarità di Zelensky sta superando ogni limite», ha argomentato Fini.

Il disegnatore Vauro ha sentenziato che Zelensky gli pare «un personaggio da fumetto» e che l’invito di Amadeus «diventa propaganda bellica in un momento in cui c’è bisogno di parlare di diplomazia, di cessate il fuoco e di pace». «Non si può spettacolarizzare una guerra tanto meno in un programma che ospita canzoni e che è visto in tutto il mondo», ha concordato Ovadia. Il quale poi ha aggiunto: «Il messaggio che mandiamo a Putin (con la presenza di Zelensky a Sanremo, ndr.) è che vogliamo schiacciarlo… lui può essere molto cattivo, quindi non è conveniente». L’«operazione boicottaggio» ha ricevuto infine l’imprimatur di Beppe Grillo che — si presume da collega — ha definito Zelensky «consumato attore di cabaret» prevedendo per lui la macabra fine di Saddam Hussein e Gheddafi che pure mai si affacciarono a Sanremo.

Lungi da noi l’intenzione di pronunciarci sul merito di questa discussione. Ci sembra però che essa porti alla luce ancora una volta quel particolare malanimo di cui si è detto nei confronti del leader ucraino. Malanimo che si sta diffondendo tra gli italiani più sensibili alle «ragioni di Putin». Stesso discorso vale ovviamente anche per chi usa parole a sproposito nei confronti dell’autocrate russo. Pur tenendo a mente, però, che è stato Putin ad aver scatenato la guerra. E a non aver mai aperto spiragli, neanche su sollecitazione di papa Francesco, circa l’intenzione di voler fare marcia indietro. Neanche di un millimetro.

 

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