Il dilemma della leader Giorgia tra vecchie radici e nuova destra

Sebastiano Messina La Repubblica 26 gennaio 2023
Il dilemma della leader Giorgia tra vecchie radici e nuova destra
Benzinai, tassisti balneari e fronte Ue. Perché la premier si sta giocando la partita della vita

Mezzo punto in meno nei sondaggi può valere quanto un granello di sabbia, per un partito che ne ha undici in più rispetto a un anno fa. Ma può anche essere la spia rossa che si accende nella stanza dei bottoni di Palazzo Chigi – il segnale che la luna di miele del nuovo governo è già finita – mettendo Giorgia Meloni di fronte alla dura realtà: adesso comincia la strada in salita.

Sarà una salita complicata, perché la storia delle accise che dovevano essere eliminate e invece sono state rimesse non è stato un incidente di percorso ma il primo appuntamento della premier con il suo passato di oppositrice. Quello spot di quattro anni fa che le è stato rinfacciato proprio ora che lei ha tagliato il traguardo mai raggiunto non solo da una donna ma da un leader della destra ex missina – salire lo scalone d’onore di Palazzo Chigi – ha illuminato con la forza delle sue stesse parole l’inevitabile contrordine di un’ex capopopolo che prima doveva conquistare voti ma ora deve far quadrare i conti dello Stato.

«La sfida che ho imposto alla mia vita è riuscire a rimanere me stessa, costi quel che costi» ha scritto Giorgia Meloni nella sua autobiografia. Ma questi tre mesi di governo dovrebbero averle fatto venire il dubbio che per rimanere se stessa – quella tosta quindicenne che un giorno di luglio del 1992 bussò al portone blindato del Fronte della Gioventù alla Garbatella – deve liberarsi dell’armamentario del passato. Non per rinnegare la sua storia, ma per realizzarla.

Il giorno che si presentò alla Camera per chiedere la fiducia – era il 25 ottobre – lei concluse il suo discorso con una promessa: «Non tradiremo». E l’insolita scelta di un verbo più adatto a un generale che a un premier rivelava che in quel momento non si stava rivolgendo ai deputati né agli italiani ma agli eredi politici di Giorgio Almirante che attendevano quel momento da 76 anni, ovvero dalla nascita della Repubblica antifascista. Era un segno di fedeltà all’antica militanza, che le aveva dato passione e coraggio. Ma quella corazza che prima la proteggeva adesso rischia di imprigionarla come un’armatura arrugginita, e lei se ne dev’essere già accorta.

La rivolta dei benzinai, faticosamente domata dal pragmatico Adolfo Urso, ha segnato un’incrinatura nei rapporti con una delle categorie che la destra considerava sue alleate, insieme ai tassisti – delusi dalla mancata abolizione dell’obbligo delPos – e ai balneari, che ora attendono ansiosi la proroga delle concessioni. Il dilemma che puntualmente si ripresenta è tra la fedeltà alle vecchie promesse e la necessità di rispettare i patti con l’Europa. E la risposta è obbligata, perché se si accontentano gli amici i fondi di Bruxelles non arrivano più e il governo va a sbattere contro il muro.

Questa lezione Meloni l’ha imparata subito, ancora più velocemente della correzione di rotta sulla Russia, che prima elogiava perché «è parte del nostro sistema di valori europei, difende l’identità cristiana e combatte il fondamentalismo islamico» ma poi ha dovuto accorgersi che è un nemico della democrazia e dell’Occidente.

Poi c’è l’Europa, il fronte sul quale lei indossa il cappello di leader dell’Ecr, il partito nazionalista e sovranista che raggruppa i conservatori del vecchio continente. Anche lì qualcosa sta cambiando, se Meloni ha incontrato per la seconda volta in due mesi Manfred Weber, presidente del Partito popolare europeo, che invece è per l’unione politica (e l’elezione diretta del presidente della Commissione).

Si vota l’anno prossimo. Se vuole rimanere fedele al passato, la premier resterà con gli spagnoli di Vox, con i sovranisti polacchi e con gli euroscettici cechi. Se invece vorrà assumere un ruolo di primo piano in Europa, si avvicinerà al Ppe stemperando a poco a poco i toni sovranisti di quando dipingeva l’Europa come «il parco giochi di tecnocrati e banchieri che banchettano sulle spalle dei popoli».

Giorgia Meloni si sta giocando la partita della vita, una partita che gioca anche per quei “figli di un dio minore” che sono il suo popolo. Ora deve scegliere se rimanere fedele alle vecchie radici, a costo di fallire l’impresa, o piantare un nuovo albero nel campo della destra. Rischiando l’accusa di aver tradito.

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