Alessandro Robecchi Il Fatto Quotidiano 25 gennaio 2023
Le Olimpiadi 2026. Salvini punta a battere la corruzione col cronometro
Mentre il Paese si appassiona e freme per i poster nella cameretta del boss, per la mafia che non usa il telefono, per l’attesa febbrile di Zelensky a Sanremo, rischia di passare inosservata una piccola questione edilizia sulle Olimpiadi invernali del 2026. Roba banale, da carpentieri e capi-cantiere, che fa persino vergogna parlarne, Eppure bisogna.
Per la pista di pattinaggio veloce di Baselga di Piné (Trento) serve una copertura, cioè, così chiede la Federazione Internazionale, e fare la copertura (il tetto) costa più di 50 milioni, qualcuno dice 75, che è una bella botta, specie se si considera che il pattinaggio di velocità non è esattamente lo sport più popolare del Paese, non siamo mica in Canada, e quindi sarebbero parecchi milioni spesi non benissimo, diciamo.
Si propone Torino, che ha un impianto per il pattinaggio ad alta velocità (l’Oval) avendolo costruito per altre Olimpiadi invernali, quelle del 2006; e siccome non è che in autostrada c’è la fila per andare a pattinare a duecento all’ora, ci si chiede se l’Italia sia pronta ad avere ben due piste così costose che – in assenza di Olimpiadi – servono a una dozzina di persone. Considerati i praticanti di pattinaggio veloce, insomma, si tratterebbe di stanziare un milioncino a testa, tanto vale darglielo in contanti e spedirli a pattinare in Alaska.
Cosa che, tra parentesi, vale anche per la famosa pista di bob di Cortina, che costerà come una spedizione su Marte perché bisogna praticamente demolirla e ricostruirla, mentre ce n’è una seminuova a Torino, chiusa perché non la usa nessuno, e la gente che pratica il bob, in Italia, ammonta a una ventina di persone.
Nonostante tutto questo – e molte atre cose ancora – non si interrompe il mantra rassicurante che risuona ovunque (dal Coni al Cio, alla regione Veneto, alla regione Lombardia, alla ridente e innevatissima città di Milano, a Cortina, eccetera): le Olimpiadi sono un affarone, arriverà un sacco di gente, dormirà tra Cortina e Milano, spenderà dei soldi, diventeremo tutti ricchi e l’economia ne trarrà giovamento. La solita fuffa dei grandi eventi: si passano anni a decantare ipotetici guadagni (prima) e anni a leccarsi le ferite (dopo), mentre si nega di averne riportate (Expo docet), con l’aggravante che se dici qualcosa di critico passi per nemico dello sviluppo, del Paese, retrogrado e noioso.
Naturalmente tutti siamo portati all’ottimismo, specie da quando Matteo Salvini è ministro delle Infrastrutture. Perché siamo sicuri che infrastrutture decenti chissà, ma il buonumore è assicurato. “Dovremo correre come matti”, dice constatando ritardi spaventosi (il completamento di alcune opere per le Olimpiadi del 2026 è previsto nel 2027, che meraviglia!). Ma non solo, eccolo ribaltare il grande assioma del malaffare nazionale: “C’è chi pensa che la corruzione si contrasti con una lunga procedura di controlli – dice al Sole 24 Ore – io penso il contrario, con meno uffici in cui le pratiche girano ci sono meno probabilità di incontrare corrotti e corruttori”.
Cioè (traduco dal salvinese all’italiano): se facciamo i lavori in fretta, senza controlli, di corsa, senza guardare chi li fa, come, con quali materiali, con quali appalti, con quali regole, corrotti e corruttori non riescono a starci dietro e tutto sarà pulito. Insomma, Salvini punta a battere la corruzione col cronometro. Quando arrivano a braccetto, corrotto e corruttore, trovano l’opera già fatta, e lui lì col cacciavite in mano e un sorriso olimpico. Ve l’ha fatta, eh! Che sagoma!