Scuola, se il ministro fa il manager

Michela Marzano La Stampa 27 gennaio 2023
Scuola, se il ministro fa il manager
C’è un detto, in Francia, che recita: bisogna girare sette volte la lingua nella bocca prima di parlare. È un proverbio semplice, ma estremamente giudizioso. Che a me viene spesso in mente quando leggo le dichiarazioni del ministro Valditara.

La lista, d’altronde, è talmente lunga che viene spontaneo domandarsi se prima di parlare il ministro la faccia girare anche solo una volta la lingua in bocca. Ma lasciamo perdere la lista, e veniamo alle sue ultime proposte. Anche perché, questa volta, Valditara ha superato sé stesso.

Come può venire in mente al ministro dell’Istruzione (non me ne voglia, signor Ministro, se continuo a utilizzare la vecchia, e a me molto cara, denominazione del suo ministero, ma non sono ancora riuscita a digerire quel “merito” che, detto fra noi, non c’azzecca proprio con la scuola pubblica), ma, dicevo, come può venire in mente al ministro Valditara anche solo di immaginare un ritorno delle gabbie salariali per gli insegnanti? Che scuola immagina per il nostro Paese? Che idea si è fatto degli insegnanti? Cos’ha davvero in testa?

Oddio, ripensando a quello che il ministro aveva detto sull’umiliazione, i conti tornano pure. Visto che è umiliante, per chi insegna, sentire che il proprio lavoro, che è soprattutto una vocazione, viene ridotto a un mero calcolo “entrate-uscite”, senza alcuna considerazione di ciò che significa occuparsi dei più giovani, accompagnarli nella crescita, e trasmettere loro la passione per il sapere.

Ma il vero problema, forse, è un altro. Ossia il fatto che, dietro le proposte di Valditara, ciò che emerge è una visione prettamente manageriale della scuola: una scuola-azienda che dovrebbe andare a cercare le risorse nel privato, sebbene la scuola di cui, almeno in teoria, si occupa lui è quella pubblica.

E oggi, quando si parla di scuola pubblica, si dovrebbe parlare della precarietà, dell’innovazione, della dispersione scolastica, dell’inadeguatezza dei programmi, della formazione dei formatori. Insomma, di tutto un mondo che il signor ministro dovrebbe, forse, fare lo sforzo di cominciare a conoscere. Facendosi magari aiutare da chi, nelle scuole, ci vive e ci lavora da decenni.

E i soldi? Potrebbe obiettare qualcuno. Dove si trovano i soldi per pagare meglio i docenti o mettere in sicurezza e modernizzare gli edifici scolastici? E qui si torna al calcolo dei costi e dei benefici, delle entrate e delle uscite, sebbene le questioni contabili non siano, in fondo, le più difficili da risolvere.

I soldi, quando si vuole, si trovano. Tutto dipende dalle priorità. Con la questione centrale che torna così in primo piano: la scuola è una priorità di questo Governo oppure no? Quand’è che il Pil investito nell’istruzione si adeguerà alla media europea? Il futuro dei giovani conta, oppure i giovani sono solo merce di scambio elettorale da citare (e strumentalizzare) quando fa comodo e poi dimenticare subito dopo?

Immaginare che siano i privati a finanziare le scuole, e che basti differenziare gli stipendi degli insegnanti a seconda di dove vivono e lavorano per risolvere i problemi che attanagliano il sistema scolastico italiano, è assurdo e inaccettabile.

Lo sa il ministro cos’è successo in Francia da quando la follia manageriale si è impossessata della ricerca e delle università? Lo sa che, anche un’istituzione prestigiosa come l’Université Paris Cité, in cui insegno, sta lasciando morire le discipline umanistiche, costringe i docenti a passare ore e ore a riempire inutili dossier amministrativi nella speranza di racimolare qualche migliaio di euro, e abbandona gli studenti a loro stessi?

Lo capisce che un modello manageriale di questo tipo, che già non funziona per l’insegnamento superiore, ammazzerebbe definitivamente la scuola? La scuola, come spiegava il filosofo americano Robert Maynard Hutchins, è ciò dovrebbe turbare le menti dei giovani e infiammare il loro intelletto. Mi permetto sommessamente di ricordarlo al ministro Valditara. Aggiungendo come piccola postilla che, per poter infiammare l’intelletto dei più giovani, sarebbe opportuno che la scuola pubblica restasse fuori dall’ideologia privatistica.

 

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