Non c’è pace nel Pd, “che vuole Giarrusso?”

Massimiliano Panarari La Stampa 29 gennaio 2023
Giarrusso, il camaleontico grillino pentito che ha ricompattato la ditta contro di lui
Dalla sinistra alla destra del partito il coro dei dubbiosi è unanime. Nel suo cv le inchieste sulle molestie e il partito con Cateno De Luca


«Miracolo a Milano». Nel senso che l’annuncio di Dino Giarrusso dal palco della convention milanese di Stefano Bonaccini ha generato il miracolo di ricomporre, per un attimo, magicamente il Partito democratico nell’altolà al suo (temerario e spericolato) ingresso. Da Piero Fassino a Giuseppe Provenzano, da sinistra a destra passando per il centro, il coro dei dubbiosi e dei perplessi è trasversalissimo e pressoché unanime. E i «chi va là» e i trasalimenti risultano decisamente presenti anche tra le file dei sostenitori del governatore emiliano. Insomma, in questo caso, un eccesso di ecumenismo non fa rima con riformismo.

E sarà pur vero, così ha “aggiustato” il tiro Dario Nardella, che «noi non vogliamo vivere di rancore, e se c’è una persona che ci ha attaccato senza sosta per anni che poi viene qui da noi, la vittoria è di chi si chiama democratico ed è disposto a dialogare». Ma l’impressione è che la vittoria sia soprattutto sua – e di quell’eterno vizio della politica italica, ovviamente e prevedibilmente dilagato presso tutti i novelli Savonarola che se ne dicevano indignati, che risponde al nome di trasformismo.

Sceneggiatore e giornalista (anche), Giarrusso è persona disinvolta e vivace (fin troppo, come si evince da alcune delle sue numerose ospitate tv in difesa di una causa e, non troppo tempo dopo, del suo contrario), con una certa conoscenza dei meccanismi della società dello spettacolo, attestata da studi universitari di scienze della comunicazione.

E, soprattutto – visto che la teoria deve convertirsi in prassi rivoluzionaria (aggettivo sempre caro a chi proviene dal grillismo), come suggeriva nelle sue Tesi su Feuerbach (1845) un signore con la barba bianca che della materia se ne intendeva – molto, ma proprio molto praticata, a partire dalla sua precedente, e assai conosciuta, vita professionale di ex Iena, durata dal 2014 al 2017 (con servizi come quello sulle accuse di molestie sessuali rivolte al regista Fausto Brizzi, che si risolsero dal punto di vista giudiziario con la loro totale archiviazione). E qui, di nuovo, tout se tient, a partire da quella matrice originaria – per l’appunto made in 5 Stelle – che Giarrusso, sebbene transitato nel frattempo attraverso svariati altri lidi, aveva calorosamente abbracciato.

E il grillismo – ancor più di un diamante, per citare un noto claim pubblicitario – è «per sempre». E nel suo ostentato (ma simulacrale) moralismo si rivela strettamente imparentato con le varie declinazioni del paradigma televisivo del giustiziere castigamatti e del cavaliere “senza macchia e senza paura” che vendica i torti subiti dal cittadino-consumatore-spettatore. Da lì alla discesa nella celebrity politics è un attimo, come appunto anche nel caso di Giarrusso, con performance elettorali agevolate proprio dalla notorietà acquisita sugli schermi. Da ultimo, raccogliendo circa 120 mila preferenze nelle elezioni europee del 2019.

Più che di uno soltanto, si è trattato, a dire il vero, almeno di un triplo carpiato, che dal Movimento 5 Stelle – dove soffriva di una certa competizione con Di Battista – ha portato il nostro a fuoriuscirne sbattendo la porta e rovesciando sugli ex colleghi di partito una sfilza di critiche inaspettate. Scegliendo, a fine giugno 2022, di diventare compagno di viaggio per le regionali siciliane di Cateno De Luca, e assurgendo a segretario nazionale del “poderoso” nuovo partito denominato «Sud chiama Nord»; salvo poi rompere il sodalizio già ad agosto.

Per approdare infine in queste ore – con rigoroso corredo di citazioni di Berlinguer e Gaber (che suonano come un’excusatio non petita) – in quel Pd su cui ha rovesciato per anni anatemi e scomuniche di ogni genere. E, naturalmente, lanciare appelli alla riscoperta dell’identità perduta (che lui stigmatizzava fino a qualche giorno fa), rivendicare l’eredità del Pci e dire qualcosa di sinistra che più di sinistra non si può.

Ma, in fondo, non c’è granché da stupirsi nel clima contemporaneo di presentismo e politica senza memoria. E, di nuovo, siamo sempre dalle parti del più puro dna pentastellato, quello dell’incoerenza genetica (che, se volessimo proprio nobilitarla, potremmo pure etichettare come paradosso postmoderno).

E in questo Giarrusso è un po’ una sineddoche, la figura che indica una parte per il tutto. D’altronde, Di Maio si diceva inorridito dal «Pd di Bibbiano», col quale schiererà in seguito il suo partitino dalla vita breve; e Giarrusso, qualche tempo dopo avere rivolto a Giuseppe Conte l’accusa di avere trasformato il M5S nello «zerbino del Pd», ha evidentemente pensato bene di fare una personale metamorfosi in battiscopa.

Nulla di nuovo sotto il sole dell’(anti)politica: quanto più si invocano palingenesi e bonifiche contro il “sistema”, tanto più facilmente si inventano successivamente contorsionismi di varia natura per giustificare ex post l’ingiustificabile. Del resto, anche per ragioni di continuità territoriale Giarrusso conosce bene il significato della parola gattopardismo. Ma, si intende, rigorosamente 2.0.

 

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