L’interesse degli anarchici e quello dello “Stato feroce”. Nordio da che parte sta?

Massimo Giannini La Stampa 30 gennaio 2023
Il dovere di uno Stato
Di fronte all’offensiva violenta degli anarchici, agli attacchi alle ambasciate e alle molotov contro i commissariati di Polizia, fa benissimo il governo a ribadire che lo Stato non scende a patti con chi minaccia le istituzioni. Fissato questo principio, irrinunciabile per una democrazia, va detto però che sulla delicata vicenda di Alfredo Cospito c’è solo una cosa che lo Stato, nelle sue più diverse articolazioni, non deve fare: lavarsene le mani.

 

L’uomo non ha ucciso nessuno, ma ha commesso reati gravi, per i quali sta scontando la pena dell’ergastolo ostativo, in regime di 41 bis. Contesta il regime di “carcere duro” che gli è stato assegnato, e per questo sta facendo uno sciopero della fame da 103 giorni. Non è Gesù, al contrario.

Ma a prescindere da ogni valutazione sulla fondatezza e sull’asprezza della pena che gli è stata inflitta, quando ci sono di mezzo il Diritto e i diritti, chi li amministra non può fare il Ponzio Pilato. E invece è quello che sta succedendo.

Fa Ponzio Pilato la Corte di Cassazione, che giovedì scorso, con un’inaccettabile scusa burocratica, ha rinviato di un mese la decisione sulla legittimità del 41 bis per Cospito e quella sulla costituzionalità o meno dell’ergastolo ostativo, dopo la pseudo-riforma approvata dal Parlamento.

Fa Ponzio Pilato l’Amministrazione penitenziaria, che considerate le condizioni di salute potrebbe disporre il trasferimento di Cospito in una struttura carceraria adatta ad assicurare le cure necessarie. Fanno Ponzio Pilato la Procura di Torino e la Procura Nazionale Antimafia che, potrebbero addirittura emettere un parere favorevole alla sospensione del 41 bis, se ci fosse tuttavia un input del ministro della Giustizia.

E sta facendo Ponzio Pilato proprio il Guardasigilli, al quale l’avvocato di Cospito ha inviato un’istanza di revoca del carcere duro, citando una sentenza definitiva nella quale si sancisce che quell’uomo non ha più alcun contatto con il Fai, cioè l’organizzazione anarchica che si prefiggeva di sovvertire la Repubblica (era proprio su questo presupposto che fu deciso di assegnarlo al 41 bis).

Carlo Nordio, in presenza di questo “fatto nuovo”, potrebbe disporre la revisione del regime carcerario di Cospito. Dice di avere il dossier sul tavolo da mesi, ma non fa niente. Così, in questo accidioso e pericoloso “non fare”, il detenuto rischia di morire.

Lo Stato deve evitare questo drammatico finale della storia. Sia perché ha il dovere di tutelare la salute di tutti i cittadini, a maggior ragione di quelli che hanno commesso reati e per questo, privati della libertà, sono affidati alla sua custodia. Sia per non trasformare Cospito morto in un martire.

Forse un esito del genere fa comodo agli anarco-insurrezionalisti, che hanno bisogno di simboli per continuare a credere in una “fede” cieca, ormai fuori dal tempo e dalla legge. Non vorremmo che facesse comodo anche a chi, proprio dentro lo Stato, vuole usare questo caso esemplare per continuare ad esibire la “faccia feroce”, amministrando una giustizia “à la carte”.

A nutrire la cultura della vendetta invece di quella della rieducazione, ripetendo ogni volta “chiudiamoli dentro e buttiamo la chiave”. E dunque a negare i principi e le garanzie costituzionali, che danno senso e sostanza a una vera democrazia liberale.

 

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