Formigli sogna la BBC, forse pure Johnson, gli sfugge la prima reazione al discutibile Zelensky

Corrado Formigli La Repubblica 31 gennaio 2023
Le paranoie su Zelensky
Con sprezzo del ridicolo, prosegue incandescente il dibattito sulla presenza di Zelensky al festival di Sanremo. Parliamo di un intervento registrato di circa due minuti in collegamento da Kiev durante la serata finale.

Una scelta che, in qualunque paese normale, sarebbe accolta con la reazione che merita: un vago cenno del capo, un gesto di ovvia normalità.

Perché il presidente ucraino è stato già ospite di numerosi eventi televisivi nel mondo, dai Golden Globe ai festival di Venezia e Cannes, ha una strategia mediatica imponente e rappresenta per qualunque tv show un’occasione per sbandierare impegno e solidarietà aumentando lo share. Eppure, da noi è un caso di Stato. Sarà che i partiti non considerano la Rai per ciò che dovrebbe essere, una tv pagata dai cittadini per garantire qualità e autonomia editoriale, bensì una sorta di colonia catodica del governo con annessa dépendance per l’opposizione.

Sta di fatto che tutti i leader mettono bocca, discettano di format, informazione e “canzonette” (termine in disuso da almeno 40 anni). Chi protesta contro la presenza del presidente ucraino, sostiene che il contenitore non sia adatto. Insomma, dopo aver imperversato in qualunque format televisivo immaginabile, dalla d’Urso alla De Filippi a Novantesimo minuto, ora alcuni indignati leader politici lanciano l’austera invocazione: Zelensky, Amadeus e tutta la Rai dimostrino un po’ di serietà anziché mischiare la guerra con il rock. Come se non fosse tradizione sanremese aprirsi ai temi sociali, alle proteste, ai gesti simbolici. Perfino il palco occupato dai metalmeccanici dell’Italsider nell’84, gestito abilmente da Pippo Baudo, fu salutato come una sana irruzione della realtà fra le pareti ovattate dell’Ariston. Che dire poi di un grande protagonista come Gorbaciov, invitato da Fazio nel Sanremo 2009?

Ma la guerra no. Con la stessa ipocrisia per la quale i corpi martoriati dalle bombe non devono essere mostrati, adesso si rimprovera al servizio pubblico divoler mescolare sangue e musica. Di voler rendere pop il dolore.

Il consiglio di amministrazione della Rai chiede dunque rassicurazioni al direttore dell’intrattenimento Coletta, indaga sul contenuto del messaggio che verrà inviato dal presidente di un popolo sotto assedio. Si cautela su possibili conseguenze.

A monte di queste paranoie c’è l’inguaribile impulso dei partiti di considerare la Rai roba loro. Non solo nominano i vertici della tv di Stato e tengono in piedi una commissione parlamentare di vigilanza che evoca il Minculpop. Adesso vogliono pure la scaletta di Sanremo. Che, intendiamoci, può piacere o meno. Può essere considerato un grande evento o una baracconata. Ma è, o meglio dovrebbe essere, il principale evento di una tv che gli italiani pagano perché sia indipendente. Zelensky a Sanremo non piace? Alla prossima tornata, il governo cambierà amministratore delegato com’è nei suoi poteri. Fino ad allora, per favore, giù le mani dal copione.

Tantopiù che, una volta archiviata Sanremo, questa polemica apparirà per quel che è: strumentale. Tra riflessi pseudo pacifisti, perbenismo mediatico e generali da tastiera, la guerra, quella vera, è sempre più lontana dal racconto della realtà. In Ucraina si muore in una crescente indifferenza. Lontano dalla cagnara sanremese, migliaia di volontari portano aiuti sotto i missili: gli unici, probabilmente, a battersi per una tregua. La pace sembra lontana, proibita. Da Roma a Bruxelles, c’è un deserto di idee e iniziative diplomatiche. Chiuso il collegamento col presidente ucraino e archiviate le “canzonette”, in Rai si tornerà alla vera partita del cuore per il governo: quella delle nomine. Un direttore a me, uno a te. Come sempre

 

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