Un governo prigioniero di Cospito, 150 anarchici e Nordio

Francesco Bei La Repubblica 31 gennaio 2023
Prigionieri di Alfredo Cospito
Far dipendere la sorte del detenuto dall’atteggiamento dei suoi “compagni” fuori dal carcere non lega le mani a loro, bensì allo Stato. E gli impedisce di fare la cosa giusta, quale che essa sia.

 

Il trasferimento del detenuto Alfredo Cospito, in regime perdurante di 41 bis, dal carcere di Sassari a quello di Opera, è una buona notizia ma non rappresenta una svolta. Tiene ferma la situazione di stallo, allontanando per un po’ la possibilità di un esito tragico, eppure resta al di sotto di quanto sarebbe necessario.

Quello del governo è un prendere tempo, in attesa che qualcuno – ovvero la Cassazione – arrivi a togliere le castagne del fuoco, quando ai primi di marzo si terrà l’udienza per rivalutare il 41 bis per Cospito. È una non-decisione che evidenzia il vicolo cieco in cui si sta cacciando l’esecutivo mentre fuori, nelle strade, sale il livello di violenza degli insurrezionalisti anarchici.

L’errore infatti è nel tenere insieme cose che insieme non devono stare: il caso Cospito e la repressione della guerriglia urbana. Dice bene il ministro Antonio Tajani che “dobbiamo separare la vicenda personale e la vicenda che riguarda gli attacchi”, eppure quello che sta facendo il governo è esattamente questo, mescolare pericolosamente i due piani. Un azzardo che gioca soltanto a favore di chi incendia le auto e tira sassi e molotov ai “lavoratori in divisa”, come li chiamava Pasolini.

La nota a petto in fuori di palazzo Chigi, con quel muscolare “lo Stato non fa patti con chi ci minaccia”, è proprio quello che i violenti amici di Cospito si aspettavano e speravano nei loro sogni più segreti. Il governo di destra che li indica come nemici e, facendolo, li eleva al rango di interlocutori politici. Legittimando e ingigantendo una lotta che, in questo modo, trova il combustibile più propizio per allargarsi, mobilitare, creare reti di solidarietà. Il contrario di quanto andava fatto.

Far dipendere la sorte di Cospito dall’atteggiamento dei suoi “compagni” fuori dal carcere non lega le mani a loro bensì allo Stato. E gli impedisce di fare la cosa giusta, quale che essa sia. Se si pensa che sia opportuno allentare il regime carcerario per il detenuto Cospito, lo si faccia e basta. Senza calcoli politici su come questo atto amministrativo potrà essere interpretato dalla galassia anarchica.

L’amministrazione della giustizia dovrebbe essere cieca e sorda rispetto alla piazza e scrutare con il microscopio il singolo caso, non alzare lo sguardo con il cannocchiale a caccia di improbabili nemici.

A meno che, ed è legittima a questo punto una dose di malizia, il caso Cospito e la postura di ferro del governo, non abbiano anche un altro scopo.

Nei giorni scorsi, a fronte di un successo incredibile sulla lotta alla mafia (benché l’arresto di Messina Denaro non sia merito di questo governo, ma di una macchina investigativa-giudiziaria che da decenni prova ad acciuffarlo), nella maggioranza si è generato infatti un cortocircuito da dilettanti allo sbaraglio, che ha impedito alla destra di capitalizzare politicamente la cattura del boss.

Colpa di Nordio e delle sue “gaffe” contro i pm antimafia e i mafiosi che non parlano al telefono. Colpa dello scontro tra le varie anime della maggioranza, quella securitaria e quella garantista. Sta di fatto che, pochi giorni dopo, la vicenda Cospito arriva magicamente a coprire tutte queste smagliature, uniformando sotto la maschera feroce dello Stato-che-non-si piega le divisioni interne al governo.

Se il gioco è questo è un gioco pericoloso, perché potrebbe anche andare a finire male, sia perché eccita i più violenti e li sprona a una contrapposizione sempre più frontale, sia perché rischia di ritorcersi contro Cospito.

Un condannato per fatti gravissimi, un uomo violento che non ha esitato a sparare a un essere umano, ha messo due bombe con bulloni e biglie di ferro davanti a una caserma che avrebbero potuto uccidere, ma non merita la vendetta di Stato.

Perché non la merita nessuno. Lo dice la Costituzione italiana, non qualche fanzine anarchica. Poi, con calma, si potrà eventualmente discutere del 41 bis in generale e dei limiti della sua applicazione.

E sarà utile, quel giorno, rileggere le parole di Marco Pannella su quelle “inutili, meramente afflittive soverchierie, che provocano soltanto durezza di comportamenti, irriducibilità, autolegittimazione, rifiuto di ogni dialogo o, peggio, a fronte di gravi maltrattamenti, l’imbarbarimento generale”. Il libro si chiamava Tortura democratica. È del 2001.

 

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