Una catena di errori e ritardi, Cospito un simbolo comodo a chi?

Giuliano Foschini, Fabio Tonacci La Repubblica 31 gennaio 2023
Alfredo Cospito, una catena di errori e ritardi: così lo Stato l’ha reso un simbolo
La storia della detenzione del 55enne pescarese, anarchico e pluricondannato con l’aggravante del terrorismo, è prima di tutto una sequela di valutazioni opinabili e scaricabarile tra amministrazioni che l’hanno resa, agli occhi di molti, un caso di malagiustizia

 

C’è stato un momento, in questi giorni di tensione, macchine incendiate e molotov, in cui tra palazzo Chigi e il ministero della Giustizia qualcuno ha avuto davvero paura: dal carcere di Sassari avevano appena comunicato che Alfredo Cospito, con tre maglioni e tre paia di pantaloni addosso per compensare lo sbalzo di temperatura provocato dalla perdita di peso, era crollato a terra.

Un abbassamento della pressione, mentre era sotto il getto d’acqua calda della doccia, vestito. Aveva il naso rotto ma il cuore batteva. “Non sappiamo però quanto potrà durare così, in questo stato e in regime di 41 bis”, hanno riferito gli operatori del penitenziario di Bancali. È stato allora che a Roma si sono chiesti come si sia potuti arrivare sull’orlo del punto di non ritorno.

Ecco: la storia della detenzione del 55enne pescarese, anarchico e pluricondannato con l’aggravante del terrorismo, è prima di tutto una sequela di valutazioni opinabili e scaricabarile tra amministrazioni che l’hanno resa, agli occhi di molti, un caso di malagiustizia. E, agli occhi di tutti, una storia dall’esito potenzialmente disastroso.

Il trasferimento mancato
La scelta di trasferirlo a Opera è stata presa solo ieri, ma già un mese fa era apparso chiaro che Cospito avesse deciso di andare fino in fondo con lo sciopero della fame e che, dunque, le sue condizioni si sarebbero aggravate. Il carcere di massima sicurezza di Sassari non può trattare questo tipo di pazienti: nel 2020 il giudice di sorveglianza si è trovato costretto a concedere i domiciliari a Pasquale Zagaria, il fratello di Michele re dei Casalesi, perché “le strutture sanitarie presenti non sono in grado di garantire al detenuto la prosecuzione dell’iter diagnostico”. Nessuno si è posto il problema di pensare a una sistemazione alternativa quando Cospito ha cominciato a non mangiare. Era ottobre, mancavano poche ore al giuramento del governo Meloni.

“Non dipende da noi”, hanno fatto sapere, da subito, i dirigenti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), dando il là al grande gioco dello scaricabarile. È vero infatti che la competenza sanitaria sulle carceri è passata alle Asl, e quindi alle Regioni, ma è altrettanto vero che in casi straordinari, come sicuramente quello di Cospito è, il Dap ha il compito di intervenire per tutelare la salute del detenuto. Negli ultimi giorni qualcosa si era mosso, perché nel penitenziario di Cagliari erano pronti ad attrezzare due stanze per ospitarlo. Eppure niente è accaduto: il weekend è scivolato via senza che Cospito si muovesse da Bancali.

Il nodo del 41 bis
Più complessa la questione del 41 bis. Dal 12 gennaio il Guardasigilli Carlo Nordio ha sulla scrivania la richiesta dell’avvocato Flavio Rossi Albertini per revocare il carcere duro, considerati i nuovi elementi emersi da una sentenza della Corte d’assise di Roma che, nell’assolvere alcuni anarchici dal reato di associazione terroristica, ha ridimensionato il ruolo di Cospito all’interno della Federazione anarchica informale (Fai). Sono passati 18 giorni ma a quella richiesta non è stato dato seguito. Serve il parere della Direzione nazionale antiterrorismo e della procura di Torino che il 4 maggio scorso hanno chiesto all’allora ministra Marta Cartabia di applicare il 41 bis. “Ma è come se nessuno percepisse l’urgenza”, ragiona una fonte che conosce il dossier. “Al di là delle accertate responsabilità penali di Cospito, c’è un uomo che rischia di morire sotto la custodia dello Stato”.

Trattato come ‘il capo’
Non è chiaro quando il pescarese trapiantato a Torino si sia votato all’anarchia, ma si sa che nel 2003, quando quattro sigle – Cooperativa artigiana fuoco e affini (occasionalmente spettacolare), Brigata 20 luglio, Cellule contro il capitale, Solidarietà internazionale – danno vita alla Fai, lui c’è. Dopo una serie di pacchi bomba e ordigni contro le istituzioni, nel 2006 la Fai fa un bilancio, col documento “4 anni”, sunto di un incontro tra otto delegati dei gruppi fondatori. Che viene così interpretato dagli inquirenti: “Il documento individua una sorta di comitato direttivo centrale che svolge funzioni di programmazione e direzione strategica rispetto alle singole cellule”. Nel comitato ci sarebbe anche Cospito. Tale impostazione, però, cozza con quell’orizzontalità senza vertici e leader che l’aggettivo “informale” sottende. Eppure sarà uno dei motivi alla base del decreto firmato da Cartabia che ha costretto Cospito al 41 bis.

 

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.