Carlo Bonini La Repubblica 1 febbraio 2023
Caso Donzelli, il dovere di dimettersi
Il deputato di FdI scatena la bagarre in aula accusando alcuni esponenti del Pd di essere vicini a Cospito per un visita in carcere
Incapace di una postura consona al ruolo di partito di maggioranza al governo del Paese, Fratelli d’Italia decide di far deragliare il delicato dibattito che si è aperto nel Paese sul regime carcerario cui è sottoposto l’anarco-insurrezionalista Alfredo Cospito e sulla risposta da dare alla sfida violenta posta dalla galassia anarchica, trasformando la faccenda in una miserabile quanto sgangherata corrida.
Accusando il Pd — e segnatamente tre suoi parlamentari — di contiguità con il terrorismo e la mafia, perché “responsabili” di una visita in carcere all’anarchico il 12 gennaio scorso. Un’enormità pronunciata nell’aula di Montecitorio in disprezzo non solo delle più elementari regole istituzionali, ma anche della verità.
E, verrebbe da aggiungere, del ruolo cruciale che, storicamente, e con costi drammatici (anche di vite umane), la sinistra parlamentare ha svolto nella lotta al terrorismo politico e a quello mafioso nella vicenda repubblicana del Paese.
Che non si tratti di un inciampo, ma di una manifestazione della spregiudicatezza con cui il partito di Giorgia Meloni interpreta il ruolo che il Paese gli ha affidato con il voto sono il protagonista dell’affondo e le sue mosse. Parliamo di Giovanni Donzelli, toscano di prato, già giovane fascista del Fuan, poi militante di An e quindi uomo del cerchio magico di Giorgia Meloni, da lei scelto come responsabile nazionale dell’organizzazione del Partito, quindi come commissario della riottosa federazione romana del partito, e, per giunta, oggi vicepresidente del Copasir, il Comitato di controllo parlamentare sulla nostra Intelligence, uno dei più delicati snodi del nostro sistema di sicurezza nazionale.
Ebbene, ieri, in meno di quattro minuti, a chiusura del suo intervento alla Camera, Donzelli riesce nella formidabile impresa di utilizzare un documento interno del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero di Giustizia e le notizie riservate che conteneva sul conto di Cospito e delle sue conversazioni in carcere per trasformarle in un manganello con cui aggredire le opposizioni. Non solo.
Nel farlo, Donzelli non sembra essere sfiorato neppure per un istante dal dubbio che utilizzare, manipolandone il senso e il contesto politico, le informazioni contenute in un documento che non dovrebbe essere nella sua disponibilità e che il ministro di Giustizia non ha messo nella disponibilità del Parlamento sia una violazione macroscopica dell’alfabeto istituzionale.
Liquida infatti la faccenda con una penosa toppa, parlando genericamente di “documenti a disposizione di tutti” presso il ministero. Sminuendo la natura del documento (coperto da segreto) e nel goffo tentativo di coprire la sua fonte: l’uomo che gli ha messo a disposizione il contenuto di quelle carte.
La cui identità, per altro, è il segreto di Pulcinella, visto che a rivelarla candidamente a “Repubblica” è lo stesso Donzelli. Perché è un suo compagno di partito, nonché coinquilino della casa che con lui divide a Roma: l’ineffabile sottosegretario alla Giustizia, con delega all’amministrazione penitenziaria, Andrea Delmastro Delle Vedove da quel di Gattinara, val Sesia.
Sì, proprio Andrea Delmastro, l’uomo che Giorgia Meloni, nei giorni della cattura di Matteo Messina Denaro, ha mandato come una Madonna pellegrina, in ogni studio televisivo, mattino, pomeriggio e sera, a spiegare lo scempio che del segreto istruttorio e della pubblicazione di brandelli di intercettazioni telefoniche farebbe il giornalismo italiano armato dalla mano di pubblici ministeri fuori dal perimetro costituzionale.
Già, perché accecati dallo squallido dividendo politico di una performance parlamentare ad ugola aperta, Donzelli e Delmastro Delle Vedove il pasticcio lo combinano davvero grosso.
I brandelli di conversazione carpiti nel carcere di Sassari tra Cospito e i boss di mafia sul tema del 41 bis sono infatti contenuti in una relazione coperta da segreto indirizzata dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria al ministro Nordio e al suo sottosegretario che sulle carceri ha la delega: Delmastro Delle Vedove, appunto.
Si tratta di carte che non solo non sono a disposizione di tutti, ma, per giunta, che attingono a un’attività di particolare segretezza e delicatezza. Che è appunto quella di intercettazione preventiva delle conversazioni di detenuti ad alto indice di sorveglianza condotta normalmente dagli agenti del Gom, il gruppo operativo mobile della Polizia penitenziaria.
Ci sono dunque intercettazioni e intercettazioni per Fdi. E c’è segreto e segreto. Nel garantismo a corrente alternata che guida la maggioranza quelle che riguardano un detenuto anarco-insurrezionalista posso ben essere divulgate per via politica se utili ad accreditare un osceno sillogismo che deve colpire le opposizioni.
Succede a chi è privo di qualunque cultura delle istituzioni, a chi confonde il governo con il comando, a chi è abituato alla manipolazione come tecnica di comunicazione politica.
La domanda, a questo punto, è semplice: con quale spirito in una prossima audizione del Copasir un qualsiasi dirigente o funzionario dell’intelligence condividerà informazioni coperte da segreto con un parlamentare, Donzelli, abituato a farne materia di conversazione prima nel tinello del suo coinquilino Delmastro e poi, se capita, in Parlamento?
E con quale coerenza il sottosegretario Delmastro potrà tornare a chiedere rispetto delle regole e spirito bipartisan sui temi della giustizia penale e sull’uso di uno strumento delicato come le intercettazioni se ne fa commercio di partito per colpire strumentalmente le opposizioni?
E cosa ha da dire il custode delle garanzie Carlo Nordio che, nel chiedere “una ricostruzione dettagliata delle circostanze riferite nell’assemblea parlamentare” su Cospito, conferma l’impressione che gliel’abbiano fatta sotto il naso?
Se Donzelli e Delmastro Delle Vedove avessero un briciolo di rispetto per il Parlamento e il ruolo che ricoprono rassegnerebbero entrambi le dimissioni. Poiché, conoscendoli, non lo faranno, gliele dovrebbe chiedere Giorgia Meloni. Che, invece, parla d’altro. Dei suoi primi cento giorni.
Caso Donzelli, il dovere di dimettersi
Carlo Bonini La Repubblica 1 febbraio 2023
Caso Donzelli, il dovere di dimettersi
Il deputato di FdI scatena la bagarre in aula accusando alcuni esponenti del Pd di essere vicini a Cospito per un visita in carcere
Incapace di una postura consona al ruolo di partito di maggioranza al governo del Paese, Fratelli d’Italia decide di far deragliare il delicato dibattito che si è aperto nel Paese sul regime carcerario cui è sottoposto l’anarco-insurrezionalista Alfredo Cospito e sulla risposta da dare alla sfida violenta posta dalla galassia anarchica, trasformando la faccenda in una miserabile quanto sgangherata corrida.
Accusando il Pd — e segnatamente tre suoi parlamentari — di contiguità con il terrorismo e la mafia, perché “responsabili” di una visita in carcere all’anarchico il 12 gennaio scorso. Un’enormità pronunciata nell’aula di Montecitorio in disprezzo non solo delle più elementari regole istituzionali, ma anche della verità.
E, verrebbe da aggiungere, del ruolo cruciale che, storicamente, e con costi drammatici (anche di vite umane), la sinistra parlamentare ha svolto nella lotta al terrorismo politico e a quello mafioso nella vicenda repubblicana del Paese.
Che non si tratti di un inciampo, ma di una manifestazione della spregiudicatezza con cui il partito di Giorgia Meloni interpreta il ruolo che il Paese gli ha affidato con il voto sono il protagonista dell’affondo e le sue mosse. Parliamo di Giovanni Donzelli, toscano di prato, già giovane fascista del Fuan, poi militante di An e quindi uomo del cerchio magico di Giorgia Meloni, da lei scelto come responsabile nazionale dell’organizzazione del Partito, quindi come commissario della riottosa federazione romana del partito, e, per giunta, oggi vicepresidente del Copasir, il Comitato di controllo parlamentare sulla nostra Intelligence, uno dei più delicati snodi del nostro sistema di sicurezza nazionale.
Ebbene, ieri, in meno di quattro minuti, a chiusura del suo intervento alla Camera, Donzelli riesce nella formidabile impresa di utilizzare un documento interno del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero di Giustizia e le notizie riservate che conteneva sul conto di Cospito e delle sue conversazioni in carcere per trasformarle in un manganello con cui aggredire le opposizioni. Non solo.
Nel farlo, Donzelli non sembra essere sfiorato neppure per un istante dal dubbio che utilizzare, manipolandone il senso e il contesto politico, le informazioni contenute in un documento che non dovrebbe essere nella sua disponibilità e che il ministro di Giustizia non ha messo nella disponibilità del Parlamento sia una violazione macroscopica dell’alfabeto istituzionale.
Liquida infatti la faccenda con una penosa toppa, parlando genericamente di “documenti a disposizione di tutti” presso il ministero. Sminuendo la natura del documento (coperto da segreto) e nel goffo tentativo di coprire la sua fonte: l’uomo che gli ha messo a disposizione il contenuto di quelle carte.
La cui identità, per altro, è il segreto di Pulcinella, visto che a rivelarla candidamente a “Repubblica” è lo stesso Donzelli. Perché è un suo compagno di partito, nonché coinquilino della casa che con lui divide a Roma: l’ineffabile sottosegretario alla Giustizia, con delega all’amministrazione penitenziaria, Andrea Delmastro Delle Vedove da quel di Gattinara, val Sesia.
Sì, proprio Andrea Delmastro, l’uomo che Giorgia Meloni, nei giorni della cattura di Matteo Messina Denaro, ha mandato come una Madonna pellegrina, in ogni studio televisivo, mattino, pomeriggio e sera, a spiegare lo scempio che del segreto istruttorio e della pubblicazione di brandelli di intercettazioni telefoniche farebbe il giornalismo italiano armato dalla mano di pubblici ministeri fuori dal perimetro costituzionale.
Già, perché accecati dallo squallido dividendo politico di una performance parlamentare ad ugola aperta, Donzelli e Delmastro Delle Vedove il pasticcio lo combinano davvero grosso.
I brandelli di conversazione carpiti nel carcere di Sassari tra Cospito e i boss di mafia sul tema del 41 bis sono infatti contenuti in una relazione coperta da segreto indirizzata dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria al ministro Nordio e al suo sottosegretario che sulle carceri ha la delega: Delmastro Delle Vedove, appunto.
Si tratta di carte che non solo non sono a disposizione di tutti, ma, per giunta, che attingono a un’attività di particolare segretezza e delicatezza. Che è appunto quella di intercettazione preventiva delle conversazioni di detenuti ad alto indice di sorveglianza condotta normalmente dagli agenti del Gom, il gruppo operativo mobile della Polizia penitenziaria.
Ci sono dunque intercettazioni e intercettazioni per Fdi. E c’è segreto e segreto. Nel garantismo a corrente alternata che guida la maggioranza quelle che riguardano un detenuto anarco-insurrezionalista posso ben essere divulgate per via politica se utili ad accreditare un osceno sillogismo che deve colpire le opposizioni.
Succede a chi è privo di qualunque cultura delle istituzioni, a chi confonde il governo con il comando, a chi è abituato alla manipolazione come tecnica di comunicazione politica.
La domanda, a questo punto, è semplice: con quale spirito in una prossima audizione del Copasir un qualsiasi dirigente o funzionario dell’intelligence condividerà informazioni coperte da segreto con un parlamentare, Donzelli, abituato a farne materia di conversazione prima nel tinello del suo coinquilino Delmastro e poi, se capita, in Parlamento?
E con quale coerenza il sottosegretario Delmastro potrà tornare a chiedere rispetto delle regole e spirito bipartisan sui temi della giustizia penale e sull’uso di uno strumento delicato come le intercettazioni se ne fa commercio di partito per colpire strumentalmente le opposizioni?
E cosa ha da dire il custode delle garanzie Carlo Nordio che, nel chiedere “una ricostruzione dettagliata delle circostanze riferite nell’assemblea parlamentare” su Cospito, conferma l’impressione che gliel’abbiano fatta sotto il naso?
Se Donzelli e Delmastro Delle Vedove avessero un briciolo di rispetto per il Parlamento e il ruolo che ricoprono rassegnerebbero entrambi le dimissioni. Poiché, conoscendoli, non lo faranno, gliele dovrebbe chiedere Giorgia Meloni. Che, invece, parla d’altro. Dei suoi primi cento giorni.