Donzelli, offensiva pianificata con effetti boomerang

Francesco Grignetti Francesco Olivo La Stampa 1 febbraio 2023
Donzelli, offensiva pianificata: ma il blitz rischia di trasformarsi in un boomerang per la premier
Il contrattacco di Giorgia Meloni è stato pianificato a freddo, ma, forse, è andato oltre. L’obiettivo del governo era uscire dall’impasse, accusando la sinistra di «ambiguità verso le violenze anarchiche».

A sera, però, la sensazione di molti nella maggioranza, è che quel polverone sollevato in Parlamento contro il Pd si sia trasformato in un boomerang. Quando la bufera ormai è nel pieno, la premier chiede ai suoi di abbassare i toni. Ma è tardi, ormai, l’accusatore, Giovanni Donzelli, è diventato l’accusato, per aver citato in Aula documenti riservati che, secondo le opposizioni, non potevano essere in suo possesso: «Abbiamo inaugurato un nuovo filone – ironizzavano alcuni dirigenti di Forza Italia in Transatlantico – dopo le intercettazioni sui giornali, le intercettazioni negli atti parlamentari». Si scherza, ma non tanto: Fratelli d’Italia ancora una volta si ritrova sola in questa difficile situazione.

L’operazione Meloni era partita la sera prima. Sono le 21 di lunedì quando tre ministri, dopo il Cdm, vengono chiamati da palazzo Chigi: «Domani mattina dovete comparire davanti alla stampa». Le agende di Antonio Tajani, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi vengono stravolte, ma poco importa. C’è da parlare al Paese per far passare un messaggio: non soltanto una linea di massima fermezza, ma anche nessuna pietà umana verso un detenuto pericoloso. Scandisce con tono glaciale il ministro dell’Interno: «La minaccia di lasciarsi morire di fame non può stravolgere i principi democratici riguardo al trattamento penale. Nella Costituzione non c’è scritto che lo sciopero della fame può alterare il sistema di funzionamento della democrazia».

Nelle stesse ore in cui veniva organizzata la conferenza stampa, il responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli e il sottosegretario Andrea Delmastro, due tra i più vicini alla premier, pilastri di FdI e tanto amici da condividere l’appartamento a Roma, preparavano a quattro mani l’intervento contro il Pd che Donzelli avrebbe letto al mattino.

Il punto della questione diventa chiaro nel pomeriggio: come fa Donzelli a conoscere quei dettagli sulle intercettazioni raccolte nel carcere di Sassari? La segreteria di Nordio fa sapere che il ministro è estraneo e che, anzi, ha avviato un’indagine interna. Anche dai vertici delle carceri, il Dap, filtra disappunto e sorpresa, perché Donzelli nel dibattito alla Camera ha citato atti riservati, frutto di intercettazioni che la polizia penitenziaria svolge su mandato dell’autorità giudiziaria e che finiscono anche nelle relazioni che il Dap invia periodiscamente al ministro.

I sospetti allora si rivolgono verso Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia con delega alle carceri. Il quale, nel tardo pomeriggio, in Transatlantico, ammette il suo ruolo nella vicenda: «Sono stato io a raccontare a Donzelli le conversazioni tra Cospito e il boss dei Casalesi, non sono intercettazioni, ma osservazioni». La versione del sottosegretario è questa: «Giovanni mi chiedeva perché l’anarchico fosse così pericoloso e io gli ho citato le informazioni di cui ero venuto a conoscenza, dove si mostrava il tentativo di saldatura tra criminalità organizzata e anarchici con l’obiettivo di smontare il 41 bis». Secondo Delmastro, non si tratta «di un documento secretato, se queste cose me le avesse chieste un parlamentare, per esempio Giachetti (e lo indica mentre passa ndr.) le avrei date anche a lui». Il vice di Nordio ritiene che tutto sia avvenuto nella piena legittimità, «è un deputato e ha diritto ad avere queste informazioni». Enrico Costa, deputato di Azione, in passato sottosegretario alla Giustizia smentisce questa versione: «Ho sentito il ministero e mi dicono che come parlamentare non ho diritto ad accedere agli atti». Secondo Delmastro, Donzelli quindi non avrebbe mai avuto in mano le carte incriminate e se ha citato molti dettagli, compresa la data, è solo perché «ha preso appunti mentre gli spiegavo il fatto».

È interessante ora capire se questa tesi sarà condivisa da Nordio, che oggi dovrà relazionare alla Camera. Sarà l’occasione per riaprire la discussione sul 41bis. Il Guardasigilli ribadirà, come ha già spiegato ieri, che il carcere duro è «necessario e indispensabile» e che la scelta di portare Alfredo Cospito in una struttura diversa «non significa un cedimento da parte dello Stato».

Il tema è delicatissimo. Dice ancora Nordio di ricordare bene il dibattito sul caso Moro. «Ripeto che il minimo cedimento sarebbe stato fatale». In verità, da quel che dicono i due, il ministro della Giustizia e il collega dell’Interno temono che il caso Cospito diventi una crepa nell’architettura del carcere duro e dell’ergastolo ostativo nella quale i mafiosi potrebbero inserirsi. E perciò il governo non toccherà nulla riguardo al detenuto Cospito, in attesa della Cassazione. Dice Nordio: «Poiché la legge è uguale per tutti, non si capirebbe poi un domani se ci fosse un trattamento diversificato per Matteo Messina Denaro. E che accadrebbe se ci trovassimo con 300 o 400 mafiosi che rifiutano il cibo?».

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