Meloni costretta a fronteggiare il malcontento nella coalizione

Francesco Verderami Corriere della Sera 2 febbraio 2023
Caso Donzelli, Meloni costretta a fronteggiare il malcontento nella coalizione
Al governo non giova il clima incandescente

Dice sottovoce un rappresentante del governo: «Ai tempi di Draghi per molto meno Durigon era stato costretto a dimettersi da sottosegretario». Chissà se la vicenda che coinvolge oggi i meloniani Donzelli e Delmastro seguirà la stessa parabola del caso in cui fu coinvolto il rappresentante leghista, che dopo un’infelice uscita sul fascismo resistette nel suo incarico per tre settimane prima di rassegnare il mandato. Per ora il coordinatore di FdI non si dimetterà da vice presidente del Copasir e al sottosegretario alla Giustizia non verranno ritirate le deleghe.
La premier confida che la polemica si depotenzi, sposta l’attenzione sugli attacchi allo Stato degli anarchici, sottolinea che «non è stato l’esecutivo ad alzare i toni».

Ma non c’è dubbio che abbia avvertito il colpo. Lo testimonia quel senso di «amarezza» che ha accompagnato la giornata del sottosegretario alla Presidenza, Mantovano, e il lavorio di quanti si sono adoperati per trovare una soluzione: magari con una nota di palazzo Chigi utile a prendere le distanze dall’idea che il governo intenda accostare il Pd a mafia e terrorismo; oppure con un’iniziativa legislativa che preveda il rafforzamento del 41-bis, in modo da sfidare le opposizioni e compattare la maggioranza. Perché nel centrodestra cova il malcontento.

Nella Lega ieri nessuno ha ribadito la solidarietà espressa da Salvini verso i dirigenti di FdI al centro della polemica. Alla Camera, per esempio, nel suo intervento in Aula l’ex magistrata Matone si è limitata a parlare delle norme di giustizia, «visto che in Transatlantico — raccontano alcuni parlamentari — aveva espresso pesanti critiche» nei riguardi degli uomini di Meloni. E al Senato l’ex ministro Bongiorno ha declinato l’invito a prendere la parola a nome del Carroccio. Il centrista Lupi non si è riconosciuto nei «toni» dell’alleato di destra. E Berlusconi — conversando con i forzisti — ha definito «inappropriato» il discorso del rappresentante di Meloni. «Diciamo che — ha commentato malizioso l’azzurro Mulè — se il presidente della Camera decide di istituire il Giurì d’onore, non c’è fumus persecutionis contro Donzelli».

Insomma, ha ragione Meloni ad invitare le forze politiche a compattarsi a difesa delle istituzioni, ma se il dibattito in Parlamento ha preso un’altra piega — secondo gli alleati — è stato per «un eccesso di prestazione dei suoi». Cosa che peraltro è accaduta anche ieri. Donzelli, dicendo «figurarsi se faccio una cosa simile senza che Giorgia lo sappia», per coprire se stesso ha di fatto esposto la premier davanti all’accusa formulata in Aula dai grillini, secondo i quali ci sarebbe stata «una regia politica con il mandato di Palazzo Chigi».

Si vedrà se gli atti «sensibili» citati alla Camera da Donzelli potevano davvero essere resi pubblici: lo dirà Nordio dopo l’inchiesta interna al ministero di Giustizia. Il fatto è che l’azione di Delmastro, responsabile di aver passato la documentazione al collega di partito, ha messo in difficoltà il Guardasigilli. Ai suoi avversari, che lo considerano ormai «ostaggio» di FdI, Nordio oppone la volontà di «accertare i fatti» prima di prendere decisioni «alle quali non ho intenzione di sottrarmi». Sebbene fonti di governo evidenzino che «a via Arenula la struttura del dicastero mira a proteggere Delmastro».

Allora si capisce perché Renzi abbia voluto dare un indirizzo politico al caso, chiedendo a Meloni «se stai con Nordio o con Donzelli», dividendo il campo garantista da quello giustizialista. Resta da capire se questo clima incandescente abbia giovato alla causa della premier e messo in luce le evidenti contraddizioni sul caso Cospito che stavano emergendo a sinistra. O se invece — come commentano gli esponenti del centrodestra — «ha finito per rianimare il Pd», che per bocca di Letta ha avvisato: «Noi non molleremo». Ieri, mentre in Aula andava in scena lo scontro, il leader dell’Udc Cesa lasciava Montecitorio citando Andreotti: «Il grande Giulio diceva. “Quando sei maggioranza non si parla”…».

 

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