Autonomia zoppa e barocca. Un capolavoro del Barocco, forse un Guido Reni o un Guercino

Michele Ainis La Repubblica 3 febbraio 2023
Autonomia zoppa e barocca
Che bel disegno, questo disegno di legge sull’autonomia differenziata. Un capolavoro del Barocco, parrebbe uscito dal pennello di Guido Reni o del Guercino. Vi si raffigura una corte principesca, affollata da princìpi del diritto anziché da prìncipi del sangue.

 

 

Il suo primo articolo ne mette in fila 11 – maestosi, e dai nomi altisonanti: unità, indivisibilità, decentramento, semplificazione, sburocratizzazione, sussidiarietà, e via magnificando. Sennonché i principi giuridici sono come la testa che ciascuno indossa sul proprio corpaccione: hanno bisogno di due gambe, per girovagare intorno al mondo.
Camminano sulle disposizioni di dettaglio, sulle regole minute. E le gambe, in questo caso, sono zoppe, sicché il principio finisce a testa in giù.

 

È la sorte dei Lep, per dirne una. Significano “livelli essenziali delle prestazioni”, che la Costituzione (articolo 117) vorrebbe garantire per rendere omogenea la fruizione dei diritti su tutto il territorio nazionale. Tuttavia il legislatore italiano, fin qui, non li ha determinati; omissione imperdonabile, specie nel momento in cui si trasferiscono abbondanti funzioni alle Regioni. E adesso? Quando la prima bozza del ministro Calderoli è uscita dal suo bozzolo (8 novembre), se ne poteva fare a meno. Da qui un coro di proteste, cui il nuovo disegno di legge intende mettere rimedio, stabilendo un “principio di pregiudizialità”: prima i Lep, poi il rafforzamento delle competenze regionali.

Meglio tardi che mai, verrebbe da osservare. Ma meglio mai che male, potremmo inoltre aggiungere. Perché i Lep andranno definiti “nell’ambito degli stanziamenti di bilancio a legislazione vigente”, dice la legge n. 197 del 2022; si tratterà perciò di livelli minimi, senza maggiori investimenti, lasciando a stecchetto i poveri (le Regioni del Sud), ma permettendo d’ingrassare ai ricchi. E perché nel ddl Calderoli la procedura per determinare i Lep è uno slalom gigante, che scivola fra cabine di regia e conferenze unificate, ma in ultimo taglia il traguardo con un dpcm.

Ossia con un decreto del presidente del Consiglio, tal quale gli editti del governo Conte, durante il primo tempo della pandemia. Suscitando critiche più che giustificate, giacché i diritti fondamentalivengono protetti da altrettante riserve di legge, Costituzione alla mano. Ma quantomeno allora c’era un’emergenza sanitaria; adesso l’emergenza dove sta, dove si trova?
Questioni di forma, che però nel microcosmo del diritto diventano sostanza. È il caso del ruolo assegnato al Parlamento, l’unico organo delle nostre istituzioni che rappresenta tutti gli elettori. Da qui l’esigenza di coinvolgerlo – al pari delle assemblee legislative regionali – con funzioni d’indirizzo e di controllo. Invece il ddl Calderoli detta una procedura verticistica, racchiusa nel rapporto fra gli esecutivi: il governo nazionale di qua, le Giunte regionali di là. E le Camere?

Esprimono un parere sui livelli essenziali delle prestazioni, dopo che qualcuno, dall’alto, li avrà confezionati; e formulano un altro parere (non vincolante, come i consigli della suocera) sullo “schema di intesa preliminare” fra lo Stato e la singola Regione, in vista del trasferimento di funzioni. Insomma, un Parlamento ridotto ad organo meramente consultivo, tal quale il Cnel, che da anni tutti vorrebbero abrogare. Senza riuscirci, ma intanto stiamo abrogando il Parlamento. Anche perché la legge con cui si conclude la faccenda è un prendere o lasciare: le Camere non possono correggere l’intesa, non hanno il potere di proporre emendamenti, devono votare e basta, a mani giunte e bocca chiusa.

Ma dopotutto è ancora un altro il vizio più vizioso. Perché attiene al “cosa” del trasferimento, non più soltanto al “come”. E il “cosa” comprende 23 materie, cuocendo su un’unica brace la gestione di settori economici (come il commercio con l’estero) e la tutela dei diritti fondamentali (salute, scuola, lavoro). Nel 2016 la riforma costituzionale tentata dal governo Renzi sforbiciava quest’elenco di materie, e pretendeva inoltre che la Regione interessata avesse i conti in ordine.

Adesso nessun limite, nessuna condizione. Ogni Regione può chiedere l’universo mondo, anche se c’è un commissariamento sulla materia che richiede. Sicché l’autonomia differenziata prevista dall’articolo 116 della Costituzione – che è norma eccezionale, concettualmente ristretta a pochi casi, a poche discipline – viene interpretata come regola, sovvertendo il rapporto fra Stato e Regioni. Evviva.

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