Lo stallo americano. Biden rimane se i repubblicani non bocciano Trump

Guido Moltedo il Manifesto 5 febbraio 2023
La «stampella» di Trump per far correre Biden
Martedì il discorso sullo stato dell’Unione del presidente americano. L’impossibile «ponte», cioè collaborazione, con i nemici Repubblicani sotto la leadership trumpiana


Biden e Trump appartengono alla cosiddetta «generazione silenziosa», che nel gergo dei demografi comprende i nati tra il 1928 e il 1945 e che precede la generazione che animò gli anni Sessanta, con una vitalità chiassosa che mancava alla silent generation.

Saranno ancora loro due a contendersi la presidenza degli Stati Uniti nel 2024? Un democratico ottantaduenne e un repubblicano settantottenne? Lasciando sfumare le speranze di aspiranti della baby boom generation e della leva dei più giovani, personaggi come Kamala Harris e Elizabeth Warren in campo democratico, Marco Rubio, Ted Cruz, Nikky Haley in quello repubblicano?

ALLO STATO ATTUALE è così, saranno loro i duellanti. Biden ha ottenuto il via libera alla ricandidatura dall’assemblea nazionale del suo partito, che si è riunita nel fine settimana a Filadelfia. “Four more years”, è stato il coro dei delegati. Altri quattro anni. Trump, lui si era autocandidato già lo scorso novembre, ovviamente senza bisogno dell’ok del partito per correre per la terza volta, ed è comunque l’unico ad averlo fatto finora nel Grand Old Party, peraltro diviso sulla leadership della sua direzione nazionale. Uno scontro feroce che è il bis dell’elezione contrastatissima di Kevin McCarhy a nuovo speaker della camera.

La storia si ripete e vien da dire che non potrebbe essere altrimenti in un’America politicamente paralizzata da una frattura al limite della rottura irreparabile. Che la presidenza Biden ha scongiurato ma non fino al punto di sottrarre il paese al pericolo esistenziale della sua stessa disgregazione. Tanto che i democratici devono rivolgersi ancora a lui per allontanare lo scenario apocalittico, nel 2024, di una rivincita dei repubblicani, i quali, intanto, per quanto malconci, sono riusciti già a riprendersi la camera dei rappresentanti. Sperano peraltro, i democratici, che lo sfidante di Biden sia proprio Trump, di nuovo lui.

Calcolano che la replica della sfida del 2020 vedrebbe questa volta Biden in posizione di forza e Trump indebolito, come ha già dimostrato il voto di midterm, che l’ha visto «perdente» con la brutale sconfitta del grosso dei candidati da lui sostenuti. In più i democratici contano sull’escalation della discordia nel campo di Agramante.

TRUMP HA ORMAI il grosso dei notabili repubblicani contro di lui. Ma non dei donor. Dispone quindi di fondi che i suoi avversari sognano di avere, soprattutto ha intatto il suo potere d’interdizione contro chiunque pensi di conseguire la candidatura contro di lui o senza il suo sostegno esplicito, e intende usare ogni leva a sua disposizione per affermarlo.

I DEMOCRATICI contano dunque sull’esaurimento del fenomeno Trump e del conseguente tutti contro tutti in casa repubblicana, una rissa che è già in atto ed è destinata a diventare una bolgia, il che regalerebbe al vecchio Joe un secondo mandato, a dispetto del bagaglio sempre più pesante di guai che si porta dietro. Tanto che i dem, diversamente dal trattamento riservato a Trump, per lo stesso reato, considerano ostentamente di scarso rilievo lo scandalo dei documenti riservati del suo mandato di vicepresidente che spuntano di continuo da tutti i luoghi frequentati da Biden.

È SOPRATTUTTO la forza delle cose a imporre il quadro che abbiamo delineato. Biden non può non riproporre la candidatura per un secondo mandato, anche se è evidente l’handicap dell’età e non solo. Lasciasse solo intendere che rinuncerebbe, un secondo dopo diventerebbe un’anatra zoppa, di fronte a un Congresso ostile in uno dei suoi rami e non amico nell’altro ramo, e con un’agenda interna fitta di problemi irrisolti e di nuove criticità, dentro un contesto internazionale in piena ebollizione, in buona misura a causa delle sue stesse scelte strategiche, una guerra in corso e un’altra sottotraccia con le due massime superpotenze planetarie. In più, la sua rinuncia farebbe scattare tra i democratici uno scontro interno tra le diverse anime che, sotto Biden, da Sanders fino alla destra del partito, è stato sopito in nome della comune lotta a Trump e al trumpismo.

CERTO, MANCANO 640 giorni alle presidenziali, abbastanza perché lo scenario descritto possa cambiare, anche in modo significativo. Biden indicherà nel discorso sullo stato dell’Unione, martedì prossimo, le linee programmatiche di quest’anno cruciale, l’unico in cui avrà più possibilità di agire, perchè quello successivo sarà un anno elettorale.

MA DIVERSAMENTE dal Congresso in cui lo scorso anno pronunciò il discorso sullo stato dell’Unione, di fronte a quello entrato in carica rivolgerà un intervento all’insegna della collaborazione destinato a tornare al mittente. Il «ponte» proposto al GOP si rivelerà impraticabile con i repubblicani guidati da McCarthy e lo scontro occuperà il grosso dell’agenda presidenziale.

E se nel frattempo i repubblicani riusciranno nell’impresa, che oggi pare impossibile, di far fuori Trump? Verrà a cadere la ragione principale della ricandidatura di Biden, nel frattempo logorato dal conflitto col Congresso e dalle guerre in corso. A quel punto tutti i giochi si riaprirebbero.

 

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.