La lunga marcia di Giorgia e della destra Calimero

Flavia Perina La Stampa 6 febbraio 2023
La rivincita della destra che si sente Calimero
Nei comizi e nei discorsi della destra c’è sempre l’evocazione di un mondo ostracizzato e minoritario. Anche ieri a Roma Giorgia Meloni ha ricordato la lunga marcia per arrivare fino a qui. La rivincita degli esclusi

 

Giorgia Meloni durante il suo intervento alla convegno elettorale di Francesco Rocca
Anche il comizio dei leader per il candidato della destra nel Lazio, Francesco Rocca, ha avuto come chiave principale il tema della rivincita degli esclusi con l’evocazione da parte di Giorgia Meloni della lunga marcia di FdI, fondata sul «coraggio», che «ha messo in sicurezza la destra italiana», «senza mai abbassare la testa o diventare una cosa diversa».

Sono frasi che suscitano sempre molti applausi nei comizi, e anche stavolta hanno fatto un grande effetto perché corrispondono a uno stato d’animo effettivamente percepito dal popolo della destra, dai suoi dirigenti e dai suoi militanti: la sindrome di Davide contro Golia, delle vittime predestinate alla sconfitta che per farcela devono combattere contro forze preponderanti.

Abbiamo visto agire questo complesso moltissime volte in questi tre mesi. La legislatura è cominciata con le lamentele contro l’egemonia televisiva delle sinistre e la rivendicazione di fiction su D’Annunzio, su Oriana Fallaci peraltro già prodotte e messe in onda con successo.

È proseguita con la protesta contro le burocrazie incapaci di adeguarsi «alle politiche nuove e diverse» del governo e con l’evocazione del machete nei loro confronti. È approdata, infine, alla gestione della vicenda Cospito con la descrizione di una destra sottoposta a «linciaggio mediatico» perché denuncia «l’inchino del Pd ai boss mafiosi».

Sono tutti esiti della stessa percezione di sé: quello di un mondo ostracizzato e a minoritario che quasi per miracolo conquista la guida del Paese e deve farsi forza per continuare la sua battaglia contro un ambiente ostile che vorrebbe ricacciarla nel ghetto (o nelle fogne). Gli underdog, appunto, secondo la prima auto-definizione di Meloni nel suo discorso di insediamento.

Bisognerebbe cominciare a raccontarsi un’altra storia, più autentica e magari più impegnativa e sfidante, perché la destra dei quarantenni che oggi governa l’Italia, la destra dei dirigenti locali che hanno chiesto e ottenuto responsabilità istituzionali di rilievo, la destra ministeriale e sotto ministeriale, così come larga parte dei responsabili di Fratelli d’Italia, nasce in tutt’altro contesto e ha poco a che fare con antiche conventio ad excludendum.

È la destra post-Fiuggi, arrivata alla politica quando la destra già da un pezzo era abilitata a governare. Una destra che era in culla negli anni ’70 e che si è fatta strada in tempi assai più tranquilli, vincendo elezioni e conquistando ruoli nelle istituzioni fin da giovanissima. Consiglieri comunali, assessori, consiglieri regionali tra i venti e i trent’anni, nel caso straordinario di Giorgia Meloni vice-presidente della Camera prima dei trenta.

E non solo. Questa destra ha avuto ruoli decisionali in Rai, direttori di telegiornale, direttori di rete, rappresentanze nei Cda di tutte le partecipate, voce nelle scelte che contano sia a livello nazionale che locale. Ora ha pure il 30 per cento dei voti. E la personalità che presenta per la guida del Lazio è un ex-presidente della Croce Rossa internazionale da sempre amico della destra, Francesco Rocca, uno che – come ha detto anche Meloni nel suo discorso – «si è seduto all’Onu e ha parlato con i leader del mondo», insomma: la riprova vivente di quanto sia infondata l’idea che stare a destra significhi emarginazione ed esclusione.

Perché, allora, questa destra si sente ancora Calimero? E quanto la danneggia, quanto le è di ostacolo, questa eterna percezione di marginalità, questo credersi vittima di tempi ostili e persino drammatici che sono passati da un pezzo, i tempi dei suoi nonni e dei suoi bisnonni, conosciuti attraverso il ricordo ma tramontati già all’inizio degli anni ‘90?

Certo, non favorisce una diversa consapevolezza di sé il milieu mediatico e culturale in cui la destra si rispecchia, la «Fox news permanente» dei giornali e delle trasmissioni amiche dove è ormai quasi impossibile trovare qualcosa che incoraggi ragionamenti più compiuti oltre gli antichi riflessi pavloviani dell’anticomunismo militante e del sospetto per chiunque avanzi un’obiezione alle azioni della maggioranza.

La sinistra ha avuto e ha quotidiani, opinionisti, aree televisive, dove il dubbio e il richiamo sono la regola (fin troppo, dicono i diretti interessati): una spina nel fianco, spesso, ma anche un costante richiamo alla realtà e comunque uno spazio al quale attingere per aggiornare i ragionamenti.

A destra questa mancanza sta facendosi importante, e non solo per la rincorsa all’estremismo che producono certi titoli-choc, certi esasperazioni polemiche contro il nemico di turno. La destra si specchia ogni giorno in riflessioni che la omaggiano con una perenne fanfara, la incitano a tirare dritto, incardinano l’idea che ogni obiezione altro non sia che un tentativo di infangare la «rivincita degli esclusi». Magari è consolatorio. Magari consolida il consenso. Di certo non aiuta il mondo della destra a percepire le sue nuove responsabilità e i suoi nuovi doveri, e nemmeno a capire che dopo le elezioni del 25 settembre non è più il piccolo Davide con la fionda in mano: è diventato Golia

 

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.