Fratelli d’Italia, un trasformismo per la restaurazione dall’alto

Aldo Tortorella* il Manifesto 7 febbraio 2023
Fratelli d’Italia, un trasformismo per la restaurazione dall’alto
Il partito della presidente del Consiglio Meloni non rinnega il suo neofascismo, ma si accredita come partito d’ordine nazionalista, neoliberista e filo-atlantico


Il fascismo italiano si volle presentare come continuatore, addirittura, della romanità imperiale, il nazismo come vendicatore della razza eletta. Al contrario, in Italia come altrove in Europa, la destra nazionalista, polemica verso la Comunità europea, garantisce la sua assoluta fedeltà al Patto Atlantico, cioè alla potenza dominante che lo guida. Il nazionalismo odierno si combina con una sudditanza implicita al comando – all’impero – americano.

La giustificazione di questa subalternità è il bisogno di fare blocco contro l’aggressività in atto del nazionalismo russo qui in Occidente (e contro la eventuale aggressività della Cina in Oriente). Anche questa spiegazione – cioè la difesa dei paesi liberi contro i regimi dittatoriali – già fa capire la prima diversità della destra postfascista rispetto al suo passato.

In questa parte del mondo a direzione americana non vengono sciolti i parlamenti come fecero i fascisti originari e i nazisti (ma vengono svuotati di potere). Si rispetta, almeno formalmente, la divisione dei poteri – purché la pubblica accusa non dia fastidio. Qui le elezioni rimangono e il mantenimento delle gerarchie sociali è assicurato dai risultati economici ottimi per alcuni, accettabili per molti (e pessimi per quelli che non contano), oltre che dal prevalere nella informazione, giuridicamente libera, delle forze dominanti. Ma se non si può fare diversamente saranno tollerate «eccezioni» come quella ungherese o polacca in cui all’informazione si mettono vincoli anche giuridici e la magistratura viene sottoposta al governo a partire dalla pubblica accusa. Per non dire della eccezione della Turchia, paese atlantico. E delle tirannidi di molti alleati.

La globalizzazione era, certo, la ricerca di ulteriori profitti per il capitale finanziario (padrone delle attività produttrici di beni e servizi) attraverso l’uso di mano d’opera sottopagata rispetto ai lavoratori e alle lavoratrici della metropoli, ai quali bisognava dare una bastonata. Dunque, una politica classista, ma corrispondente anche, più o meno implicitamente, all’esigenza di uno sviluppo più equilibrato e di un allargamento del mercato, come dimostra l’impetuosa crescita economica della Cina. Era cioè un tentativo che alludeva all’egemonia, non solo al dominio assicurato dalla forza. (…)

Tuttavia la bastonata ai lavoratori del paese guida passò il segno. Comparvero e si moltiplicarono negli Usa i «lavoratori poveri» si allargò la «cintura della ruggine». Iniziarono le proteste antiglobalizzazione. (…) . Era un movimento potenzialmente critico verso il modello di comando capitalistico, si estese nel mondo e in Italia venne represso brutalmente a Genova. Era però senza proposte realmente alternative per l’immediato e dunque negli Stati Uniti si trasformò nel suo contrario, nella vecchia parola d’ordine dell’isolazionismo conservatore statunitense: «America First», riverniciata da Trump.(…)

A questo modello, con gli adattamenti necessari, e con la lezione dell’amico Orbán, si riferisce visibilmente il partito dei «fratelli d’Italia» esperti di trasformismo. Ma i suoi capi sono ben attenti a non rinnegare il passato donde presero le mosse e che costituisce la loro fama di coerenza e il loro retroterra anche elettorale. Perfettamente al contrario di quel che fece la sinistra erede del Pci vergognandosi di una storia che era stata determinante per la costruzione della democrazia in Italia. (…) Come il simbolo ereditato: resta la fiamma, scompare il profilo simbolico della bara di Mussolini da cui la fiamma usciva.

Dio, patria, famiglia: cioè uso strumentale, per il proprio potere, della religione, dell’amore alla propria terra e alla propria famiglia. Tutto questo rimane. Ma non ciò che suggeriva l’analisi di Gramsci, che si riassumeva nella categoria di «rivoluzione passiva» con cui Vincenzo Cuoco intendeva – raccontando la rivoluzione di Napoli del 1799 e il suo fallimento – una rivoluzione senza popolo.

Per Gramsci quella formula significava un mutamento dall’alto, l’uso dello Stato per affrontare e risolvere in modo anche nuovo problemi dell’economia (i fallimenti industriali e bancari, ad esempio) e della società, pur in un regime dittatoriale e duramente classista. I fascisti antichi si presentavano come modernizzatori anche se lasceranno un’Italia non solo distrutta, ma anche terribilmente arretrata.

Per il partito della… ovvero del Presidente del Consiglio, attuale l’orientamento è liberista, i valori quelli di una fuga all’indietro. Ciò che mostrano già le prime scelte di governo indicano la tendenza verso un regime reazionario e sanfedista. Il ritorno della scuola a prima del ’68, la subalternità all’esecutivo della pubblica accusa, l’antifemminismo, l’odio per i migranti, il pugno duro contro i manifestanti. Gli ex-fascisti oggi non fanno una «rivoluzione» dall’alto, ma una restaurazione dall’alto.

* Pubblichiamo passi dell’editoriale di Aldo Tortorella sul numero in uscita di “Critica Marxista”, che dedica vari articoli all’analisi della destra ieri e oggi, riproponendo tra l’altro saggi di Valentino Gerratana e Franco De Felice usciti su “Rinascita” nel 1972, 50° della marcia su Roma, e un contributo di Guido Liguori sula “rivoluzione passiva” in Gramsci.

 

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