Stefano Folli La Repubblica 7 febbraio 2023
Destra, le colpe di Berlusconi
La scia tossica del caso Cospito-Delmastro-Donzelli, peraltro non risolto, continua a distillare i suoi effetti e la coincidenza con il voto regionale in Lombardia e Lazio non semplifica le cose.
La conferma è stata offerta dallo scoop di questo giornale che ha descritto il pensiero di Berlusconi, espresso in un circuito privato, circa la «deriva a destra» della maggioranza, provocata da Fratelli d’Italia e quindi da Giorgia Meloni.
Se l’anziano fondatore di Forza Italia ammette che avrebbe volentieri votato Letizia Moratti come presidente della regione, anziché il leghista Fontana, le sue parole – nonostante le ovvie smentite di rito – hanno più di un significato trasparente.
Il primo e più evidente riguarda il modo in cui il partito berlusconiano viene mortificato a Milano, l’antica roccaforte dove tutto ebbe inizio. Come sappiamo, il vecchio leader è snobbato dalla giovane leader e se ne rammarica. È successo su scala nazionale in forme clamorose dopo il 25 settembre; rischia di accadere di nuovo in Lombardia tra pochi giorni.
Non è solo Berlusconi a essere travolto e, diciamo pure, umiliato da questo slittamento dei rapporti di forza.
Anche Salvini rischia la stessa sorte, benché il capo leghista dia mostra di maggiore flessibilità nell’adattarsi alla situazione: tanto più che può mascherare la crisi di consensi dietro il volto del candidato presidente.
Il secondo aspetto riguarda il nome stesso di Letizia Moratti: grande famiglia di unestablishment cittadino, e non solo, che un tempo era il naturale interlocutore del Berlusconi trionfante. E che oggi si presenta, pur senza troppe speranze di successo, sotto la bandiera del cosiddetto Terzo Polo, i cui limiti politici sono stati ben descritti ieri su queste colonne da Luca Ricolfi. Non è così strano che da Arcore si osservi lo scenario con un misto di malinconia e di irritazione.
La “deriva a destra”, che riduce e forse annulla i margini di un ipotetico centro liberal-democratico, è in parole povere l’avanzata della premier Meloni anche nei territori del Nord che fino a pochi anni fa le erano del tutto preclusi. Berlusconi coglie un punto: se Fratelli d’Italia assorbe quasi tutto l’elettorato del centro-destra, si determina uno squilibrio. La coalizione ha un senso se la presidente del Consiglio riesce a conciliare in una certa armonia le varie anime che la compongono.
Il problema nasce quando al successo di FdI si accompagna il tramonto di Berlusconi e in prospettiva anche di Salvini. In parte ciò è ineluttabile, se all’ascesa di un personaggio più gradito all’elettorato corrisponde il declino di altri che hanno fatto il loro tempo.
Ma non c’è solo questo.
Il caso Cospito-Delmastro-Donzelli ha fatto emergere una tendenza alla radicalizzazione, all’esasperazione dei contrasti su temi sensibili come il terrorismo che la premier avrebbe dovuto governare con maggiore prudenza. Peraltro paragonare la leader di FdI a Marine Le Pen non ha granché senso perché le due esperienze sono assai diverse, come pure il modo di stare in Europa. Tuttavia i perdenti hanno un argomento polemico da usare contro di lei, se gli errori della vicenda Cospito dovessero ripetersi.
Resta il fatto che Berlusconi non ha oggi molte carte da giocare. E nemmeno un’altra strada da imboccare. Se esiste uno spostamento a destra anche dell’elettorato liberal-conservatore, specie al Nord, egli ne porta la responsabilità. Per circa venticinque anni ha occupato il palcoscenico e non è riuscito o non ha voluto costruire un vero partito di centro, con una struttura organizzativa e una classe dirigente.
In fondo Giorgia Meloni ha occupato un vuoto. Lo ha fatto con le sue idee, che non sono quelle di una liberale, ma adesso anche lei dovrà scegliere quale sentiero imboccare.
In Italia e in Europa.
Il vuoto di Berlusconi che la Meloni tenta di occupare
Stefano Folli La Repubblica 7 febbraio 2023
Destra, le colpe di Berlusconi
La scia tossica del caso Cospito-Delmastro-Donzelli, peraltro non risolto, continua a distillare i suoi effetti e la coincidenza con il voto regionale in Lombardia e Lazio non semplifica le cose.
La conferma è stata offerta dallo scoop di questo giornale che ha descritto il pensiero di Berlusconi, espresso in un circuito privato, circa la «deriva a destra» della maggioranza, provocata da Fratelli d’Italia e quindi da Giorgia Meloni.
Se l’anziano fondatore di Forza Italia ammette che avrebbe volentieri votato Letizia Moratti come presidente della regione, anziché il leghista Fontana, le sue parole – nonostante le ovvie smentite di rito – hanno più di un significato trasparente.
Il primo e più evidente riguarda il modo in cui il partito berlusconiano viene mortificato a Milano, l’antica roccaforte dove tutto ebbe inizio. Come sappiamo, il vecchio leader è snobbato dalla giovane leader e se ne rammarica. È successo su scala nazionale in forme clamorose dopo il 25 settembre; rischia di accadere di nuovo in Lombardia tra pochi giorni.
Non è solo Berlusconi a essere travolto e, diciamo pure, umiliato da questo slittamento dei rapporti di forza.
Anche Salvini rischia la stessa sorte, benché il capo leghista dia mostra di maggiore flessibilità nell’adattarsi alla situazione: tanto più che può mascherare la crisi di consensi dietro il volto del candidato presidente.
Il secondo aspetto riguarda il nome stesso di Letizia Moratti: grande famiglia di unestablishment cittadino, e non solo, che un tempo era il naturale interlocutore del Berlusconi trionfante. E che oggi si presenta, pur senza troppe speranze di successo, sotto la bandiera del cosiddetto Terzo Polo, i cui limiti politici sono stati ben descritti ieri su queste colonne da Luca Ricolfi. Non è così strano che da Arcore si osservi lo scenario con un misto di malinconia e di irritazione.
La “deriva a destra”, che riduce e forse annulla i margini di un ipotetico centro liberal-democratico, è in parole povere l’avanzata della premier Meloni anche nei territori del Nord che fino a pochi anni fa le erano del tutto preclusi. Berlusconi coglie un punto: se Fratelli d’Italia assorbe quasi tutto l’elettorato del centro-destra, si determina uno squilibrio. La coalizione ha un senso se la presidente del Consiglio riesce a conciliare in una certa armonia le varie anime che la compongono.
Il problema nasce quando al successo di FdI si accompagna il tramonto di Berlusconi e in prospettiva anche di Salvini. In parte ciò è ineluttabile, se all’ascesa di un personaggio più gradito all’elettorato corrisponde il declino di altri che hanno fatto il loro tempo.
Ma non c’è solo questo.
Il caso Cospito-Delmastro-Donzelli ha fatto emergere una tendenza alla radicalizzazione, all’esasperazione dei contrasti su temi sensibili come il terrorismo che la premier avrebbe dovuto governare con maggiore prudenza. Peraltro paragonare la leader di FdI a Marine Le Pen non ha granché senso perché le due esperienze sono assai diverse, come pure il modo di stare in Europa. Tuttavia i perdenti hanno un argomento polemico da usare contro di lei, se gli errori della vicenda Cospito dovessero ripetersi.
Resta il fatto che Berlusconi non ha oggi molte carte da giocare. E nemmeno un’altra strada da imboccare. Se esiste uno spostamento a destra anche dell’elettorato liberal-conservatore, specie al Nord, egli ne porta la responsabilità. Per circa venticinque anni ha occupato il palcoscenico e non è riuscito o non ha voluto costruire un vero partito di centro, con una struttura organizzativa e una classe dirigente.
In fondo Giorgia Meloni ha occupato un vuoto. Lo ha fatto con le sue idee, che non sono quelle di una liberale, ma adesso anche lei dovrà scegliere quale sentiero imboccare.
In Italia e in Europa.