Zelensky a Sanremo, solo una lettera ma è giallo sulla trattativa

Tommaso Ciriaco, Giovanna Vitale La Repubblica 7 febbraio 2023
Zelensky a Sanremo, “no al video, soluzione condivisa”. Ma è giallo sulla trattativa
La Farnesina nega un suo intervento. Il portavoce di Zelensky risponde con un “no comment”. Eppure non tutto torna

Alla fine, è l’ambasciata d’Ucraina in Italia a chiudere il caso. E a farlo comunicando ai vertici Rai di aver deciso che la partecipazione di Volodymyr Zelensky a Sanremo si sarebbe risolta con una lettera del Presidente.

Questa, confidano fonti diplomatiche ucraine, rappresenterebbe una soluzione condivisa, presumibilmente con il governo di Roma. Con l’obiettivo, aggiungono le stesse fonti, di evitare di dividere l’opinione pubblica italiana sulla guerra in Ucraina.

È l’ultimo tassello di una vicenda che oscilla come un pendolo tra l’incidente diplomatico e il caso politico. Un caso che in alcuni dettagli si tinge di giallo, chiamando in causa i vertici della televisione pubblica, l’esecutivo e le diplomazie di entrambi i Paesi. Vale la pena provare a ricostruirlo.

La versione della Rai ridimensiona l’accaduto a un’interlocuzione senza tensioni o sbavature. Tutto nasce dalla missione di Bruno Vespa a Kiev, per intervistare il Presidente ucraino. Il direttore e conduttore di Porta a Porta ottiene la disponibilità a un intervento del leader ucraino al Festival. Tornato in Italia, riporta questa possibilità all’amministratore delegato della Rai Carlo Fuortes e al conduttore del Festival Amadeus.

A quel punto, sostengono fonti aziendali di massimo livello, sarebbe partita una fitta corrispondenza tra Fuortes e l’ambasciata ucraina. Viale Mazzini non avrebbe espresso una preferenza rispetto al formato della partecipazione.

E, dunque, non avrebbe proposto un intervento in presenza di Zelensky (tra l’altro altamente improbabile per ovvie ragioni logistiche). L’opzione su cui si tratta è quella di un video registrato della durata di due minuti. Uno strumento utilizzato in molte circostanze negli ultimi dodici mesi dal leader per spiegare le ragioni del suo Paese nella guerra di aggressione scatenata dalla Russia.

Nel frattempo, però, in Italia scoppia una polemica politica durissima. Capofila degli scettici è Matteo Salvini, notoriamente vicino alle posizioni di Mosca. Mostrano dubbi anche Carlo Calenda e Giuseppe Conte.

E va registrato tra l’altro anche l’intervento di Piersilvio Berlusconi. Finché, il 2 febbraio, la diplomazia ucraina comunica alla Rai che il format dell’apparizione sarebbe stato quello del testo scritto.

Le stesse fonti della tv pubblica sostengono che non sia credibile che dietro alla scelta si nasconda anche un fastidio di Zelensky, culminato nella mossa asettica di una lettera al posto del video, che certamente avrebbe garantito una resa televisiva migliore. A differenza degli ucraini, inoltre, le fonti di Viale Mazzini negano che ci sia stato un intervento della Farnesina per ricomporre il caso.

Tutte le fonti ufficiali, a sera, si attestano sostanzialmente su questa linea. Palazzo Chigi si tira fuori dalla partita, mentre il ministero degli Esteri è netto: non siamo intervenuti. Il portavoce di Zelensky, Serhiy Nikiforov, interpellato, risponde con un laconico “no comment”. Trapela anche che il presidente non si sarebbe occupato direttamente della vicenda. Eppure, non tutto torna.

Per un giorno intero, si rincorre un’altra ricostruzione dei fatti. La gestione della partecipazione di Zelensky sarebbe stata effettivamente portata avanti dall’ambasciata ucraina. Ma il polverone politico avrebbe fatto inceppare la trattativa. Gli ucraini non avrebbero gradito neanche la pianificazione, fin nei dettagli, dell’intervento del leader, così come l’eventualità di conoscere in anticipo le modalità, la durata e i contenuti dell’intervento.

Secondo alcune fonti, si sarebbe arrivati vicini alla defezione di Zelensky: non solo niente video, ma anche nessuna lettera. Un passo indietro capace di generare un vero caso diplomatico, soprattutto a pochi giorni dall’annunciata visita di Meloni a Kiev.

La premier, d’altra parte, non può certo essere sospettata – a differenza di Lega e Forza Italia – di essere tra quelli che avrebbero frenato l’intervento del presidente ucraino. Anzi, secondo le stesse fonti sarebbe stato Palazzo Chigi – infastidito – a promuovere una ricucitura con il terminale ucraino.

Avvalendosi del lavoro discreto della Farnesina, avrebbe evitato la rinuncia di Zelensky e mediato. Fino al compromesso della missiva.

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