Ci voleva Sanremo per ascoltare che è siamo una Repubblica antifascista

Stefano Cappellini La Repubblica 8 febbraio 2023
La verità sul Ventennio taciuta dalla premier
Ci voleva il festival di Sanremo, e Sergio Mattarella su una tribuna del teatro Ariston, e Roberto Benigni sulla ribalta a parlare di Costituzione, per ascoltare sul ventennio fascista le parole che Giorgia Meloni non ha pronunciato nel suo discorso di insediamento da presidente del Consiglio.

Parole che, del resto, da Meloni non sono mai uscite neanche prima o dopo quel discorso, e che mai potrebbero uscire dalla bocca della seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa, che non molto tempo fa nel corso di un evento pubblico si sentì definire “fascista” ed ebbe la prontezza di rispondere: “Piano con i complimenti”.

Benigni ha preso l’articolo 21 della Costituzione, quello sulla libertà di manifestazione del pensiero, e lo ha messo in controluce della storia nazionale, per spiegare come una libertà che troppo spesso diamo per scontata fosse una conquista strappata dopo anni di buio della ragione, di violenza di Stato, di squadracce che ti venivano a prendere a casa, a malmenare, a uccidere.

Il fascismo raccontato per quello che era, in prima serata, in apertura di festival, davanti a molti milioni di italiani, in piena era Meloni, con un governo e una maggioranza dove in tanti lo considerano spudoratamente l’album di famiglia, le “radici che non gelano”, per dirla con le parole della sottosegretaria Isabella Rauti, e si risentono se qualcuno lo nota: “Ancora con il fascismo?”, sbuffano, e sbraitano, e ironizzano, come se custodire del fascismo un culto emotivo o una visione distorta e parziale sia meno grave di volerlo restaurare (cosa della quale, detto per gli stolti e i duri di comprendonio, nessuno accusa la presidente del Consiglio).

Anche quando Meloni si è sciolta in lacrime per le leggi razziali varate dal regime mancava sempre un pezzo, come se quelle leggi si fossero prodotte per un imprevedibile incidente o per una deviazione da un percorso fin lì virtuoso, e non fossero connaturate alla profonda essenza razzista e violenta e guerrafondaia e carognesca del fascismo.

Per prevenire l’altra classica obiezione dei revisionisti quando si dibatte di fascismo possiamo già anticipare che no, il discorso di Benigni non farà calare l’inflazione, non abbatterà il prezzo della benzina, non risolverà i problemi degli italiani.

A quello, del resto, dovrebbe pensare il governo. Ma che bello sapere che nell’Italia di Meloni si può ancora parlare del fascismo per quello che è stato, persino in mezzo alle canzonette, che poi canzonette non sono mai, perché in fondo, diceva bene quel film di Truffaut, “più sono sceme e più sono vere”.

 

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