Pochi soccorritori, troppe macerie. Sfollati senza rifugio

Chiara Cruciati il Manifesto 8 febbraio 2023
Pochi soccorritori, troppe macerie. Sfollati senza rifugio
La macchina degli aiuti turca arranca, quella siriana non c’è. Oltre 7.200 morti. Erdogan: stato d’emergenza in dieci province. Quattro arresti per «post provocatori», un reporter in manette: aveva fotografato un ospedale distrutto. Intanto in Siria gli aiuti non arrivano e gli sfollati iniziano a morire di freddo

 

I giubbotti fosforescenti dei soccorritori sono l’unico punto di colore sopra cumuli di macerie grigie e informi. Da tonnellate di cemento, ferro, vetro, spuntano segni della vita di prima: coperte, quadri a pezzi, materassi. Compaiono anche parti di corpi esamini, un braccio, una gamba ricoperti di polvere.

Succede anche qualcosa di bello, che da lì escano persone che respirano ancora. E allora le lacrime cambiano di senso e gli applausi sono come il fischio di una teiera, decomprime un po’ il dolore.

LE RIPRESE DALL’ALTO, catturate dai droni che sorvolano da due giorni le città del sud-ovest turco e del nord-ovest siriano, sono quasi indistinguibili, interi quartieri letteralmente rasi al suolo e in cima alle montagnole di macerie i movimenti prudenti dei soccorsi.

Qualche voce si sente ancora uscire dal ventre cupo dei palazzi crollati, ma la macchina dei soccorsi è troppo lenta. Troppe macerie, poche braccia. In Turchia centinaia di persone stanno affollando gli aeroporti e le stazioni centrali degli autobus, pronte a partire per dare un contributo.

Vanno cercati i dispersi, va trovato un posto per gli sfollati. Solo in territorio turco sono 380mila, hanno trovato rifugio in moschee, scuole, stadi, centri commerciali. Per tantissimi però il rifugio è solo una coperta.

A RENDERE L’IMPOSSIBILE ancora più utopico è l’inverno: fa molto freddo, in alcune zone ha ripreso a nevicare. Gli aeroporti di Gaziantep, Hatay, Adana e Kahramanmaras sono stati chiusi perché le strade che vi conducevano sono implose.

E con la terra che non si ferma, che prova ad assestarsi con centinaia di scosse, fino a 5 gradi, che fanno ballare gli edifici in bilico, il numero delle vittime lievita: ieri sera il bilancio era di 7.266, 1.832 in Siria e 5.434 in Turchia.

Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, sono 23 milioni le persone colpite dal sisma da 7,8 di magnitudo che ha sconquassato il confine turco-siriano all’alba di lunedì. Di questi 23 milioni, dice l’Oms, cinque milioni sono soggetti già vulnerabili, gli sfollati siriani.

IERI IL PRESIDENTE turco Erdogan ha dichiarato lo stato di emergenza per tre mesi in dieci province (Kahramanmaras, Adana, Hatay, Gaziantep, Adiyaman, Diyarbakir, Malatya, Sanliurfa, Kilis e Osmaniye). Zone per buona parte curde, dove l’espressione «stato d’emergenza» non ha mai portato buone nuove.

Ci sono pure giornalisti arrestati per aver documentato la distruzione: è successo a Volkan Pekal, del quotidiano Evrensel, aveva scattato foto all’ospedale in macerie di Adana. Ad Hatay quattro persone sono finite in manette con la vgaga accusa di aver «pubblicato post provocatori» sulla risposta al sisma.

Erdogan, intanto, da Ankara dà qualche numero: 26 aerei cargo, 5mila sanitari e 53.317 soccorritori, 54mila tende, 102mila letti per «uno dei peggiori disastri della storia della Repubblica».

Trenta paesi stanno inviando aiuti e soccorritori. La Cina ha messo a bilancio 5,9 milioni di dollari. L’Australia 6,9 milioni, il Canada 11. Tredici milioni dagli Emirati, 1,1 dalla Germania.

E POI C’È LA SIRIA, imbrigliata in una guerra permanente e una frammentazione politica che amplifica il disastro. Qui la macchina degli aiuti internazionali non parte come dovrebbe, a strangolarla le sanzioni al governo di Damasco.

Berlino ieri, tramite la ministra degli Esteri Annalena Baerbock, è arrivata a dire che spetta al governo siriano «garantire l’arrivo degli aiuti umanitari alle vittime». Ma una vera macchina dei soccorsi in Siria non c’è più.

Alla Germania ha risposto il ministro degli esteri di Damasco, Faisal Mekdad: l’Europa mandi aiuti subito, le sanzioni sono solo una scusa. Per ora i soccorsi sono giunti solo dal mondo arabo.

IERI L’ONU ha fatto sapere che sta «esplorando le vie» per portare aiuti nelle zone controllate dalle opposizioni islamiste. Lunedì aveva annunciato l’interruzione della consegna degli aiuti a causa delle strade danneggiate e dei valichi con la Turchia chiusi.

«Migliaia come me e la mia famiglia non hanno altro luogo per rifugiarsi se non i campi aperti, a pregare che non ci siano altre scosse», ha detto Ahmed Aziz, membro dell’associazione Big Hearth Foundation a Middle East Eye.

È una delle tre organizzazioni che ieri ha avvertito: con gli ospedali irraggiungibili o danneggiati, degli impianti elettrici distrutti e i valichi chiusi da Ankara, gli sfollati rischiano di morire di freddo.

«Bruciamo qualsiasi cosa per tenere almeno le mani calde». Ci sono state anche vittime: i fuochi accesi troppo vicino alle tende le hanno date alle fiamme, altri sono rimasti uccisi dalle esalazioni.

IN MEZZO AL DISASTRO, la guerra non si ferma. Lunedì una ventina di prigionieri dello Stato islamico sono fuggiti dalla prigione di Rajo, controllata dalle milizie islamiste. Avrebbero pagato le guardie.

A dimostrazione che quella macchina non si è mai arrestata, che ha mezzi e risorse e sa sfruttarle al meglio, soprattutto nelle zone dove a governare sono i jihadisti alleati della Turchia.

***

Bombe turche su Tal Rifaat

A darne conto ieri sono state le Afrin Liberation Forces, le unità nate dopo l’occupazione del cantone curdo-siriano (nel profondo nord-ovest del paese) da parte della Turchia nella primavera del 2018: nella notte tra lunedì e martedì, a meno di 24 ore dal sisma
ha colpito il confine tra Siria e Turchia, l’aviazione di Ankara ha bombardato il distretto di Tal Rifaat, una delle città da tempo nel mirino delle autorità turche.

Presa di mira l’area di al-Shahba, dove da cinque anni vivono decine di migliaia di sfollati da Afrin, dal 2018 occupata dalle milizie jihadiste alleate di Ankara. Nelle stesse ore, un giovane curdo è stato colpito dal fuoco delle guardie di frontiera turche fuori Kobane.

 

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.