Sanremo gattopardesco, sembra sempre uguale ma cambia sempre l’abito

Aldo Grasso Corriere della Sera 8 febbraio 2023
Sanremo cambia l’abito: un segreto gattopardesco
Amadeus, le sorprese, i cantanti

La sorprendente presenza a Sanremo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sancito per sempre l’istituzione del Festival come festa nazional-popolare (molto seguita anche in Russia). Mancavano solo il suo sigillo, l’inno di Mameli cantato da Gianni Morandi e la celebrazione della musica leggera e della Costituzione (è l’arte che le lega: «Penso che un sogno così non ritorni mai più») da parte di Roberto Benigni per solennizzare una liturgia che da tempo si era conquistato il diritto allo splendore civile.

Certo, data la prestigiosa presenza, il video di Zelenskj avrebbe avuto ben altra risonanza e invece dovremo accontentarci della «letterina» letta da Amadeus, facendo finta di ignorare che la difesa della democrazia passa anche da un palcoscenico di cultura pop.

Con toni magniloquenti, Benigni tesse l’elogio dell’art. 21 (tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero) con i toni di un Paese che in passato ha sofferto, che ora forse sta rischiando qualcosa, all’interno e all’esterno; per fortuna, per il momento, abbiamo solo da fare con gli sbroccati del Web. Comunque, dopo Benigni, sarà dura per gli altri monologanti.

A cominciare da Chiara Ferragni che si presenta di schiena per esibire una scritta: «Pensati libera». Per quanto molto carismatica, l’imprenditrice digitale non fa della simpatia la sua cifra distintiva. Privata dei suoi cliché espressivi internettiani, incontra la scrittura televisiva. E così si dà al monologo a fin di bene: un po’ predica e un po’ autocompiacimento, un po’ indignazione e un po’ autopromozione, un po’ mozione degli affetti e un po’ mercato degli effetti.

Sanremo coltiva nelle sue serre la «stand up tragedy». Amadeus, dal canto suo, tira dritto e prosegue con la sua raffinata strategia di annessione di ogni anima del mainstream, a cominciare dall’eterno Morandi: concorrenti amati da un pubblico sempre più giovane, co-conduzioni femminili che spaziano dall’influencer alla pallavolista, un omaggio ai cantanti over 70 come ospiti (Peppino Di Capri, Gino Paoli, Massimo Ranieri), persino un violinista per la musica classica.

E poi il Festival è anche il suo contorno, le brutte trasmissioni che lo precedono, quelle che lo affiancano, quelle che lo succhiano, le conferenze stampa, i deliziosi deliri del direttore Stefano Coletta («l’onestà della testualità di chi ha attraversato un guado e non vuole rinunciare a raccontarsi senza pudore»), persino il FantaSanremo: tutto quanto fa Festival, anche chi non lo guarda.

Poco importa se quest’anno le canzoni raccontano di casi clinici, di casi umani, di situazioni problematiche: la letteratura ombelicale ha sedotto anche i parolieri. Perché questo è il segreto gattopardesco di Sanremo: sembrare sempre uguale a sé stesso ma cambiare abito ogni anno, inglobando tutto quello che c’è da inglobare, da «mostro» onnivoro, non facendosi mai mancare nulla.

 

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