Meloni marginalizzata, il treno con Draghi, Macron e Scholz è ormai un ricordo

Andrea Bonanni La Repubblica 9 febbraio 2023
Se il governo perde il treno
L’esecutivo è sempre più lontano dall’Europa. Meloni marginalizzata, il treno con Draghi, Macron e Scholz è ormai un ricordo

 

Sono passati meno di otto mesi da quando il treno che portava Draghi, Macron e Scholz fece il suo ingresso nella stazione di Kiev per portare all’Ucraina la solidarietà dell’Europa nelle persone dei suoi tre leader più importanti. Solo otto mesi, ma sembra un’altra epoca. Quel treno, Giorgia Meloni lo ha perso. E non ne ripasserà un altro.

Ieri Zelensky ha lasciato l’Ucraina per la seconda volta dallo scoppio della guerra dopo il viaggio a Washington.

È volato a Londra per incontrare il premier britannico. Poi è andato a Parigi, dove lo attendevano Macron e Scholz. L’Italia era assente. Un vuoto che testimonia come l’esito delle elezioni politiche di settembre abbia ridisegnato le gerarchie dell’Europa relegando il nostro Paese in un ruolo di second’ordine.

Oggi il presidente ucraino sarà a Bruxelles per partecipare al vertice Ue e intervenire davanti al Parlamento europeo. Giorgia Meloni, che aveva promesso di andare a Kiev prima dell’anniversario dell’invasione russa, lo incontrerà per pochi minuti in una saletta del Consiglio. Un copione che sembra scritto apposta per sottolineare la solitudine del nuovo governo italiano nei palazzi di Bruxelles.

Ma la questione non riguarda solo la crisi ucraina. Meloni non è stata esclusa dal vertice con Zelensky a causa dei molti amici di Putin che pure siedono nella sua maggioranza e nel governo. Macron e Scholz non l’hanno tagliata fuori per ragioni politiche specifiche ma perché questa Italia non è più omogenea al progetto europeo e non è più funzionale alla sua realizzazione. Anzi, nel giro di pochissimi mesi è tornata ad essere un peso, come ai tempi di Berlusconi. Macron e Scholz avevano bisogno di Mario Draghi. Di Giorgia Meloni e del suo governo fanno volentieri a meno.

Al vertice europeo di oggi si discuterà su come rispondere all’“Inflation reduction act”, la nuova legislazione voluta da Biden che pompa migliaia di miliardi nelle imprese americane per finanziarne la transizione ecologica. Per affrontare la questione con l’amministrazione di Washington, i ministri dell’economia francese e tedesco sono volati l’altro ieri negli Stati Uniti dove hanno incontrato la loro omologa, Janet Yellen. Che cosa si sono detti? Quali margini di negoziato si sono aperti? Ancora una volta l’Italia era assente.

Giorgia Meloni vorrebbe compensare la sua scarsa sintonia verso l’Europa consolidando un rapporto speciale con gli Stati Uniti, un po’ come cerca di fare la Polonia. Ma evidentemente il rapporto con gli Usa non è abbastanza speciale da fare di questo governo un interlocutore alla pari con quelli di Francia e Germania. Se il nuovo conflitto commerciale tra le due sponde dell’Atlantico troverà una composizione, questa passerà per Berlino, Parigi e Bruxelles. E Roma sarà chiamata a prenderne atto.

Del resto, con la destra al governo l’Italia è tornata ad essere fuori asse rispetto ai vettori della politica europea. E non riesce a collocarsi su un terreno comune con le varie anime della Ue. Esclusa dalla leadership franco-tedesca, ha interessi divergenti sia con il gruppo di Paesi rigoristi del Nord Europa, sia con quelli dell’Est che hanno debiti pubblici contenuti.

Così, al vertice di oggi, Meloni si troverà a battere una strada solitaria. Non potrà seguire Francia e Germania, che puntano ad un forte rilassamento delle regole sugli aiuti di Stato avendo la disponibilità di bilancio per finanziare le proprie imprese-leader. Non potrà allinearsi con Paesi dell’Est e del Nord, contrari ad allentare le regole della concorrenza visto che possono contare su economie molto competitive e non sovvenzionate.

L’Italia vorrebbe aiutare le proprie imprese, ma con i soldi di un nuovo fondo europeo da alimentare con debito comune. Idea allettante, ma che trova freddi francesi e tedeschi, che i soldi li hanno già in proprio, contrari i governi del Nord, che non vogliono aiuti né nuovo debito comune, scettici quelli dell’Est, che diffidano di nuovi strumenti di integrazione.

La via di uscita, per la presidente del Consiglio, sarà di adeguarsi alle decisioni altrui ottenendo in cambio maggiore flessibilità sull’utilizzo dei fondi europei già stanziati per il Pnrr. Potrebbe essere una soluzione vantaggiosa, visto che le altre sembrano precluse. Ma denota il fatto che, ancora una volta, il Paese non riesce a spendere i molti soldi che l’Europa gli ha dato nei tempi e nei modi concordati. Otto mesi fa, a Kiev, eravamo nel vagone di testa. Ora arranchiamo dietro al treno europeo negoziando concessioni per non essere lasciati a terra.

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