Perchè quel palco dell’Ariston ci ha rappresentato

Francesco Merlo La Repubblica 9 febbraio 2023
Benigni e il mite presentatore eroi della Nuova Resistenza nell’era della politica fragile
Abbiamo, tutti, capito tutto, quando abbiamo visto Amadeus, ieri mattina, mettere in riga Salvini con più fierezza e con più nerbo di Enrico Letta: «Se non le piace si guardi un film».

 

 

Toh, chi l’avrebbe mai detto che questo sarebbe diventato il Festival della Nuova Resistenza, l’opposizione più allegra ma più decisa a Giorgia Meloni: qui c’è il nostro piccolo presidente Mattarella e lì c’è il suo grande presidenzialismo con gli stivali, qui la Costituzione è difesa da Roberto Benigni mentre Giorgia Meloni l’attacca con un progetto affidato, nientemeno, a Maria Elisabetta Casellati. Chi l’avrebbe mai detto che Amadeus avrebbe dato una lezione di libertà, non solo a Salvini, indossando una delle sue luccicanti giacche liturgiche così lontane dallo stile radical chic e dall’ideologia dei professori del nuovo modello di sviluppo.

Ci sono stati più calore femminista nella Sanremo di Chiara Ferragni che nelle primarie del Pd di Elly Schlein, e più verità antirazzista in Paola Egonu che nello smarrimento della sinistra di Fratoianni e Bonelli nella famiglia Soumahoro.

E resterà nell’iconografia più raffinata del Paese quel Gianni Morandi che lunedì sera ha esibito l’umile saggezza che manca al Terzo Polo di Calenda&Renzi e ha spazzato per terra impugnando la scopa del lavoro socialmente utile, ben più progressista del reddito di cittadinanza di Giuseppe Conte. Trionfano dunque sulle bandiere stinte della politica “le magnifiche rose”, direbbe Arbasino, del Festival della Canzone Italiana, e resistono i fiori di Nilla Pizzi al vandalismo anarcoide di Blanco che le ha vilipese a calcioni come il terrorista anarchico Cospito ha vilipeso lo stato ottusamente inflessibile di Piantedosi e di Nordio, lo stato che abusa del 41 bis.

E infatti qui Gianni Morandi ha intonato a cappella “Fratelli d’Italia” e l’inno, che Mattarella mormorava, costruito sull’emozione e non sull’orchestra, è diventato il piccolo universo dove ci si ritrova cantando: la patria. Con sapienza politica, proprio nel tempio della canzone, l’inno è stato “improvvisato” in un’atmosfera da gita scolastica, e con molta più efficacia di un congresso del Pd, perché nessuno meglio dei professionisti di Sanremo sa che l’inno tanto più si ascolta bene quanto più è cantato male.

E così Sanremo, fosse pure per una settimana o magari solo per un girono, si è ripreso la patria che l’estrema destra al governo sta tentando di nuovo di spiritualizzare con l’aggressività delle maiuscole: Dio, Patria, Famiglia, Nazione. Ecco, allora: fratelli d’Italia contro Fratelli d’Italia.

La politica, che batte i denti morsa dal freddo e dal gelo, trova a Sanremo, inaspettatamente come accadde al dottor Zivago, la sua casa finalmente calda. E nell’orgia decorativa del teatro Ariston riscrive pure la sua retorica che è ormai inevitabile dovunque: sul palco di Amadeus e al Nazareno, negli interventi in Parlamento e persino nei titoloni dei giornali, nei funerali e nei matrimoni, negli arresti e nei processi.

Ma solo a Sanremo l’iperbole – che emozione pazzesca!, anzi fantastica!, anzi leggendaria! – custodisce la nostra memoria e coltiva la nostra illusione. Forse perché davvero la canzonetta, in Italia, sembra niente ma è tutto, come il fiato e come la malinconia che commuove i più duri. La canzonetta è il fischiettare del solitario, ma è anche la civiltà del coro, del popolo senza populismo e, in nessun altro paese del mondo, diventa come qui la colonna sonora della democrazia.

Amadeus, che non appartiene alla famiglia degli impegnati di sinistra e non ha neppure mai posato a poeta maledetto, forse quattro anni fa, al suo primo Sanremo, non avrebbe detto di togliersi di mezzo al vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini che contro il suo festival gliene ha rovesciate davvero tante, che «Mattarella ha il diritto di svagarsi ma non si difende la Costituzione dal palco dell’Ariston», che lui non guarderà la lettura del messaggio di Zelensky, e «basta con le tirate antirazziste »… Magari quattro anni fa, Amadeus si sarebbe lasciato intimidire o non avrebbe trovato il coraggio di permettere a Lucio Presta, che è pure il suo agente, di fare cosìbene il suo mestiere di “agente” e portare il presidente Mattarella e Roberto Benigni a Sanremo senza informare nessuno, con una trattativa segreta, saltando il consiglio d’amministrazione che è il luogo in cui si articola e si dissipa il potere politico in Rai.

E siamo arrivati al punto: Amadeus è diventato più potente di qualsiasi potere politico italiano, commissioni parlamentari, Vigilanza e manuali Cencelli, più importante dei ministri Sangiuliano, Roccella, Lollobrigida, e pure di Fazzolari con la pistola, e di tutti quelli che stanno per mettere le mani sulla Rai. Ed è più potente della stessa Rai che, ipertrofica e anacronistica, si tiene a galla solo con Sanremo. Ebbene, Amadeus, scialuppa di salvataggio del Titanic, è ora pure il leader a sua insaputa della Nuova resistenza, l’eroe per caso, più di lotta di Cuperlo e più di governo di Bonaccini, più uomo di mondo di Calenda, più credibile di Giuseppe Conte.

È il partito del 62 per cento. E la sua Sanremo è la nuova Internazionale Situazionista che nacque proprio qui nel 1956. Amadeus è l’incarnazione del leader situazionista come se lo immaginava Guy De Bord che profetizzava “la società dello spettacolo” che è il famosissimo titolo di un libro dimenticato: “Lo spettacolo è il nuovo rapporto sociale” “lo spettacolo diventerà governo”.

Inspiegabile, in tutto questo successo, rimane il solito Salvini. Tutte le guerre alla libertà sono perdenti, come dovrebbero ben sapere non solo la Lega ma anche Fratelli d’Italia, che vengono dai margini e hanno scalato il cielo. Ma se c’è una battaglia che nessun consiglio di amministrazione della Rai sovranista, nessun Salvini e nessuna Meloni possono per ora vincere è quella contro quattro anni di applausi e di record di un presentatore mite e impolitico, un artista malinconico che mai si è sognato di sostituirsi a Giovanni Sartori e a Norberto Bobbio, e nemmeno ha mai provato a fare il predicatore alla Celentano.

Perché dunque Salvini lo maltratta come i democristiani e i clerico-fascisti maltrattarono Dario Fo? Quale limite è stato superato, quale regime al tempo stesso fascistoide e mattoide può coprire di bile nera Sanremo che è amato da tutti gli italiani che sono canterini proprio perché sono italiani?

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.