Claudio Tito La Repubblica 10 febbraio 2023
La Ue spinge per gli aiuti di Stato l’Italia verso un’altra battaglia persa
Ben ventidue Paesi si sono espressi contro il piano di vincoli ai sussidi Un’ipotesi che favorisce le imprese tedesche e francesi
Nella giornata nera di Giorgia Meloni a Bruxelles, l’Italia rischia di prendere un altro schiaffo anche sul piano economico.
In particolare sugli aiuti alle industrie da contrapporre al programma di sussidi degli Stiati Uniti. Durante il Consiglio europeo, infatti, il governo italiano si è trovato dinanzi uno schieramento ampissimo.
Almeno 22 Paesi su 27 hanno criticato la proposta della Commissione europea. Tutti gli Stati del Nord Europa hanno chiesto più «flessibilità». Ma non sull’uso dei fondi europei già stanziati. Bensì sugli aiuti di Stato.
Nel progetto messo a punto la scorsa settimana dalla squadra di Ursula von der Leyen sono previsti limiti all’estensione dei sussidi. Dalla Germania all’Olanda fino alla Francia, è stata avanzata una richiesta esplicita: è inutile mantenerne il divieto. In questa fase bisogna aiutare le industrie esattamente come stanno facendo gli Stati Uniti che hanno messo sul piatto della bilancia quasi 400 miliardi di dollari.
Ma si tratta esattamente della misura cui si è opposta l’Italia. Perché liberalizzare gli aiuti di Stato significa rendere più ricchi i paesi più ricchi. Quelli con maggiori margini fiscali potranno, nella sostanza, dare di più alle imprese. Di certo la Germania che aveva già previsto un programma di 100 miliardi di euro. Fino ad ora, del resto, quasi l’80 per cento circa di deroghe concesse dalla Commissione Ue agli aiuti di Stato sono concentrate tra le industrie tedesche e francesi.
L’Italia con il suo enorme debito pubblico non può fare molto rispetto a quello già fatto. Eliminare i paletti fissati dalla Commissione renderebbe ancora più marcata questa differenza. Eppure lo schieramento su questo punto è amplissimo. Uno degli argomenti utilizzati dai premier tedesco e olandese si fonda sull’idea che aiutare le imprese di alcune nazioni di fatto agevola anche tutte le altre.
Il sistema industriale europeo è interconnesso. Ragionamento utilizzato sia da Scholz sia dall’olandese Rutte. Ma anche dalla Svezia. L’esempio tipico di questo discorso si basa sull’industria delle auto. Buona parte della componentistica delle vetture tedesche è prodotta in Italia. Ma sembra soprattutto una scusa. E un ennesimo schiaffo alla presidente del consiglio italiana.
Anche perché lo “scambio” maturato in questi giorni si basava sulla «flessibilità» nell’utilizzo dei Fondi già operativi. A partire dal NextGenerationEu. Ma mentre gli aiuti di Stato saranno iniettati immediatamente nel tessuto economico e imprenditoriale, la «flessibilità » dovrà essere concordata. Ad esempio, le modifiche al Pnrr necessitano di tempi di approvazione e di attuazione non brevi. Le cosiddete “misure ponte” sarebbero così utilizzabili non prima della fine dell’anno. Con una evidente distorsione del mercato interno.
Senza contare che gli aiuti di Stato — ed è una delle paure di Roma — potrebbero sortire un effetto anche sulla delocalizzazione delle aziende del nostro Paese. La convenienza a produrre oltre i nostri confini diventerebbe pressante. Per questo Meloni in vista del prossimo summit di marzo sta cercando di puntualizzare i limiti agli aiuti di Stato e di invitare la Commisisone a dettagliarne i contorni. Tutti gli altri, però, stanno chiedendo il contrario. Una partita che si sta inserendo nel difficile quadro di rapporti del governo di centrodestra con i partner europei principali. Anche lo scontro con Macron non sta certo aiutando su questo versante.
Senza contare che pure la proposta di istituire un Fondo Sovrano europeo è destinata ad avere tempi lunghissimi. L’isolamento di Meloni adesso comincia ad essere molto evidente e soprattutto a provocare conseguenze pratiche. Nel confronto svoltosi al Consiglio europeo, una delle risposte informali fornite dalla premier puntava a u tilizzare il diritto di veto. Bloccare, insomma, alcuni dossier considerati vantaggiosi per Berlino e Parigi come ritorsione.
Ma questa rischia di essere una strada pericolosa: la risposta sarebbe altrettanto ritorsiva. E nei prossimi mesi l’Italia dovrà fare i conti con questioni da cui dipendono in buona parte le sorti del Paese: la revisione del Pnrr e la riforma del Patto di Stabilità, ad esempio. La prossima settimana, poi, la Commissione presenterà le previsioni economiche d’inverno. Probabilmente ci sarà un leggero miglioramento rispetto a quelle formulate tre mesi fa.
Ma si tratta di una crescita che verrebbe seccamente neutralizzata se l’Italia non potrà mettere in cascina gli aiuti e la flessibilità europea. Il vertice di marzo si preannuncia già infuocato.