Meloni contro Macron, ma la politica estera non si fa coi lamenti

Lucio Caracciolo La Stampa 10 febbraio 2023
Meloni contro Macron, ma la politica estera non si fa coi lamenti
La prima cosa da fare quando si partecipa a una competizione è sapere da dove si parte. Avere la misura di sé stessi. Quando poi la gara è fra noi europei, epigoni di nazioni che fino a un secolo fa dettavano legge nel mondo e che non hanno ancora finito di elaborare il lutto, l’operazione verità è assai dolorosa. Ma necessaria.

 

E la realtà è che in ambito europeo l’Italia non è allo stesso livello della Francia o della Germania. Quando Giorgia Meloni bolla «inopportuno» l’invito di Macron per ricevere Zelensky con Scholz all’Eliseo, prima del Consiglio europeo cui per la prima volta il leader ucraino ha direttamente partecipato, dimostra di non considerare i rapporti di forza. L’unica potenza nucleare e membro permanente del Consiglio di Sicurezza nell’Ue, insieme alla maggiore economia continentale, hanno da tempo formalizzato il loro primato in ambito comunitario. Mascherando le fondamentali differenze di cultura e di interessi che le dividono.
Ma sapendo che proprio per questo hanno bisogno l’una dell’altra. L’Italia viene subito dopo, ma appunto dopo. Spesso si trova ad arrancare in categorie inferiori al suo peso causa la difficoltà a stabilire quel che vuole.

Inoltre, se si soffre un’esclusione comunque scontata, forse lamentarsi in pubblico non è il miglior modo di reagire. Se fai l’offeso contribuisci ad autoridurti. Infatti Macron ha colto l’occasione di affondare il colpo. Il presidente francese ha osservato con gusto: «Come sapete, Germania e Francia hanno un ruolo speciale nella questione ucraina da otto anni. E poi credo che spetti a Zelensky scegliere il formato che preferisce». Sia chiaro: in quegli otto anni (2014-22) la “coppia” franco-tedesca non ha prodotto un successo. Ancora una volta per non aver misurato la propria potenza. È chiaro che Putin considerava e continua a considerare solo gli americani veri interlocutori sull’Ucraina. Quanto agli americani, la loro opinione sulle velleità di mediazione franco-tedesca (allargata ai polacchi) nel 2014 a Kiev è stata lapidariamente consegnata alle cronache da Victoria Nuland, plenipotenziaria Usa impegnata a scatenare piazza Majdan contro il presidente pro-russo Janukovič: «Unione Europea fottiti!». A ciascuno il suo. Ma solo se te lo puoi permettere. Certo, nella stagione di Draghi un marziano avrebbe potuto credere che Parigi e Roma fossero alla pari. Ma scambiare il rapporto personale fra due leader che se avevano un problema lo affrontavano improvvisando una cena “privata” con quello fra i rispettivi paesi porta fuori strada.

Infine, l’obiettivo di un paese serio non può essere il posto a tavola. Per essere invitato deve avere qualcosa da dirvi e da scambiarvi. Eventualmente tirando calci sotto il tavolo. Ma per questo serve appunto la coscienza dei propri interessi. Niente e nessuno ci impedisce di elaborarli e difenderli, salvo noi stessi. Le acidità verbali fra italiani e francesi, conditi da meno visibili sgambetti, non devono farci perdere di vista l’importanza di agire insieme sulle cose che contano. A cominciare dalla partita sul patto di (in)stabilità e (de)crescita – il “miracolo” della clamorosa crescita italiana proprio quando il patto è stato sospeso qualcosa dovrebbe insegnarci. Su questo gli interessi di Italia e Francia parrebbero allineati. Così come non è affatto scontato che sulle migrazioni e sulle politiche mediterranee si debba litigare. I prossimi mesi ci diranno se Roma e Parigi riusciranno a stabilire sull’essenziale una linea comune. Tra parentesi: siamo in guerra. Non la stagione dei teatrini.

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