Tommaso Ciriaco La Repubblica 10 febbraio 2023
Meloni resta sola in Ue sui dossier più caldi e scatta la ritorsione: “Stiamo con Visegrad”
È il giorno nero della diplomazia per l’inquilina di Chigi. “Non sono un tecnico io non sono Draghi faccio quello per cui gli italiani mi hanno scelto”
Minacciare l’Europa, agitando lo spettro dello stallo su ogni dossier sensibile. Complicare i provvedimenti più cari a Parigi e Berlino, a partire dagli aiuti di Stato. Coagulare sui migranti il blocco di Paesi dell’Est, giocando soprattutto di sponda con Varsavia. In una parola: contrattaccare. Reagire per non soffocare. Quella vissuta da Giorgia Meloni a Bruxelles non è soltanto una disfatta diplomatica.
È la minaccia di cambiare pelle, rinnegando il percorso di “normalizzazione” intrapreso prima di vincere le elezioni. Di tornare all’antico, riscoprendo sintonie antiche tra sovranisti. “Io non sono un tecnico, io non sono Draghi – ripete ai suoi interlocutori, nel giorno più nero della sua diplomazia – Io sono stata votata e faccio quello per cui mi hanno scelto gli italiani”. Il prezzo potrebbe essere altissimo, visto quanto Roma è esposta sul Pnrr e il debito pubblico.
Ma comunque da pagare, perché la presidente inizia a convincersi che senza alzare i toni, senza mostrare il volto feroce della destra, senza una discontinuità con l’epoca dell’ex banchiere centrale, il suo governo potrebbe finire molto presto nel pantano.
Serve una notte per elaborare la consapevolezza che quella organizzata da Macron e Scholz non è soltanto una cena con Zelensky, ma la promessa di un isolamento. Meloni sente Matteo Salvini. Si scambiano sms. La leader libera il suo alleato, lascia che tutti possano osservare i rischi di un ritorno alle origini. Ma non basta. Esclusa da Macron, decide di incontrare a margine del Consiglio il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki e il ceco Petr Fiala. Non è una mossa casuale.
Sono i due leader conservatori. E rappresentano il piano B, la soluzione d’emergenza che Palazzo Chigi potrebbe attivare per uscire dall’angolo nel quale l’Eliseo ha cacciato il governo italiano. Incontrandoli, la presidente del Consiglio invia un messaggio chiaro a Bruxelles che suona così: Parigi e Berlino pensano di escluderci, ma noi siamo in grado di frenare ogni possibile intesa. Dilatando i tempi dei dossier più delicati, complicando il percorso dell’Unione.
Non è soltanto la partita sugli aiuti di Stato, destinata a finire sul tavolo del Consiglio di marzo. La ritorsione potrebbe consumarsi anche sul pacchetto dedicato ai migranti. E, soprattutto, sulla riforma del Patto di stabilità, che è in cima alle preoccupazioni di Parigi. E poi, naturalmente, ci sono le sfide industriali che intrecciano gli interessi italiani a queli francesi e tedeschi.
Certo, Roma ha molto da perdere. Assai di più delle capitali con cui duella. Entrare in conflitto con Scholz e Macron significa allontanare la prospettiva di una vera flessibilità sul Pnrr e i fondi di coesione, fondamentale in una fase in cui l’Italia arranca nella messa a terra dei cantieri. Ma Meloni ritiene comunque di non avere altra strada che quella del rilancio.
E d’altra parte, anche Macron e Scholz sembrano voler imporre un cambio di passo. O almeno, così si intuisce mettendo in fila gli eventi degli ultimi giorni: il nulla di fatto sul fondo sovrano che tanto servirebbe alla destra di governo, la missione franco-tedesca a Washington, lo schiaffo della cena all’Eliseo senza Meloni. Segnali che interrogano anche Romano Prodi, quando confida: “Bisogna capire se è un dispettuccio che i due fanno all’Italia, oppure c’è dietro un cambio di strategia”.
Ad ascoltare fonti dell’Eliseo, prevale la seconda tesi. Ufficialmente i francesi attendono ancora una data da Palazzo Chigi per organizzare la visita a Parigi. Ma la realtà è che il Presidente francese non ritiene utile mostrarsi con Meloni. I tempi dell’asse con Mario Draghi – che continua a mantenere un filo diretto con il leader francese, ma senza interferire nelle vicende di cronaca – sono uno sbiadito ricordo. Il Presidente, insomma, è deciso a mantenere una relazione fredda con Meloni. Da sviluppare in territori “neutrali” come i Consigli europei e gli altri vertici internazionali. Altro discorso è ovviamente quello di lasciare che le relazioni bilaterali proseguano a livello ministeriale, come dimostrano anche le recenti visite che si sono alternate tra Roma e Parigi nelle ultime settimane.
Ma c’è di più. C’è la volontà politica di non legare con la presidente del Consiglio e con quello che rappresenta per l’opinione pubblica francese. C’è la voglia di tenerla ai margini, investendo tutto sul rinnovato patto con Berlino. E c’è, dato da non trascurare, il timore che un nuovo asse tra Conservatori e Ppe possa spingere ai margini Macron e i liberali europei. Tutte buone ragioni che consigliano a Macron di non arretrare di un millimetro di fronte al conflitto aperto.