Michele Serra La Repubblica 11 febbraio 2023
I veri mandanti di Giorgia Meloni
Come avrebbe potuto prevedere, Giorgia Meloni, di ritrovarsi dentro la casa europea come capo del governo italiano, faccia a faccia con leader, e governi, dei quali la sua parte politica ha sempre parlato come di una cricca di aridi tecnocrati nemici del popolo?
Non dev’essere facile, anche perché riavvolgere il nastro della storia è impossibile, e dunque ciò che è stato detto rimane. Il sovranismo di governo si porta addosso tutta l’eredità del sovranismo di piazza, compresi i pregiudizi a suo carico: per altro quasi tutti meritati.
Ora, sia pure con un largo sorriso, l’Europa le fa pagare dazio. La tentazione sarebbe di goderne, come il tifoso interista che vede la Juve cadere in Champions League, e viceversa.
Il problema è che la politica non è il calcio, e Meloni, in Europa, per insistere nella metafora calcistica, non rappresenta questa o quella squadra di club, ma la Nazionale, insomma l’Italia. Questo ci rimanda a noi stessi, alla disastrosa incapacità degli europeisti di presentarsi uniti alle scorse elezioni e alla loro conseguente, annunciatissima, meritatissima sconfitta. Con tutto il rispetto per l’Ungheria di Orbán, la destra sovranista che conquista Roma è una questione di tutt’altro calibro: proprio perché, come ricorda ogni tre minuti Meloni, noi siamo un Paese molto importante (l’Ungheria un po’ meno).
Dunque, piuttosto che godere delle disavventure di Meloni, ricordiamoci che i suoi mandanti siamo noi “democratici”, di diverse fazioni, che l’abbiamo fatta vincere. Piuttosto che ridere di lei, ridiamo di noi stessi.