Francesco Olivo La Stampa 12 febbraio 2023
Armi all’Ucraina, ma senza clamore. Ora Meloni teme l’opinione pubblica
Pubblicato il nuovo decreto di aiuti a Kiev. La premier ammette: «Non è facile spiegare il conflitto agli italiani». Il governo contrario all’invio dei caccia, ma non metterà veti ai partner. I dubbi di Lega e Berlusconi sull’escalation
L’invio di armi all’Ucraina non si discute, ma nemmeno si sbandiera. La lettera di Volodymyr Zelensky è stata letta all’Ariston, ma a tarda notte. Niente veti all’invio di jet a Kiev, ma senza mandare i nostri. Il governo non arretra sul sostegno alla nazione invasa, ma inizia a temere l’effetto sull’opinione pubblica, «non è facile gestire questa questione», ha ammesso Giorgia Meloni a Bruxelles.
Il sesto decreto di aiuti all’Ucraina, il primo dell’era Meloni, è già stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Di questo provvedimento, che autorizza l’invio di armi (e non solo) a Kiev, si è parlato per mesi, e poi il governo lo ha approvato senza grande pubblicità. L’iter formale è stato rispettato, due passaggi al Copasir e testo secretato, ma appunto evitando di dare al fatto ogni tipo di rilevanza.
Nel pacchetto ci sono armi per la difesa aerea (compreso il sistema missilistico Samp T) e gli aiuti civili, ma non l’artiglieria, né tantomeno i carri armati. La discrezione dell’esecutivo, al di là delle evidenti ragioni di sicurezza, non si spiega con l’imbarazzo (il sostegno all’Ucraina di Giorgia Meloni non si è mai scalfito), semmai con un atteggiamento prudente. La presidente del Consiglio è cosciente che la guerra è forse l’unico tema dove l’opinione pubblica non la segue. I sondaggi, come quello di Alessandra Ghisleri pubblicato da La Stampa il 28 gennaio, vengono letti ovviamente a Palazzo Chigi: gli italiani sono scettici, e spesso persino contrari, ad altri invii di armi all’Ucraina.
E la percentuale sale tra gli elettori di Fratelli d’Italia. Meloni sa che questa è una scelta strategica del Paese e non tornerà indietro, nemmeno nel suo proposito di visitare Kiev nei prossimi giorni, «prima del 24 febbraio», ma per evitare di pagare un prezzo in termini di consenso è bene agire con cautela: si inviano le armi perché è giusto farlo, ma senza troppa enfasi. Anche perché la propaganda russa è particolarmente attiva in Italia e alimenta i dubbi sul conflitto anche attraverso notizie di dubbia provenienza e con attacchi personali al ministro della Difesa Guido Crosetto.
Gli italiani, sempre secondo gli istituti di ricerca, sono spaventati da una possibile escalation del conflitto e quindi a maggior ragione la prudenza dell’esecutivo si estende a un ipotetico invio di aerei militari. Volodymyr Zelensky nella sua missione nelle capitali lo ha detto apertamente: «Ci servono subito». La reazione del governo italiano è stata molto cauta, per ragioni tecniche, ma anche politiche. Gli unici caccia italiani che potrebbero servire agli ucraini, sarebbero, in teoria, gli F35 e gli Eurofighter. Ma al ministero della Difesa non sembra una strada percorribile, si tratta del futuro della nostra flotta per i prossimi trent’anni e per giunta, specie per gli F35, l’addestramento dei piloti porterebbe via molto tempo. All’interno del governo c’è poi la convinzione che si tratterebbe di un salto di qualità nell’impegno italiano che, almeno al momento, non si vuole compiere.
Il ragionamento è questo: se ci sono state resistenze sui carri armati (è il caso della Germania) e in Italia persino con le batterie antimissile contenute nel decreto, figuriamoci cosa potrebbe succedere con un prestito dei caccia a Zelensky. Insomma, la temuta escalation che sarebbe difficile da spiegare a un’opinione pubblica già molto dubbiosa.
C’è anche un problema politico all’orizzonte: Lega e parte di Forza Italia (soprattutto Silvio Berlusconi, non un dettaglio) non condividono appieno l’appoggio incondizionato all’Ucraina. I patti nella maggioranza sono chiari: la politica estera non si discute e i distinguo sono sempre circoscritti al piano retorico. Ma se l’invio di caccia coinvolgesse il nostro Paese, anche indirettamente, potrebbe mettere a repentaglio gli equilibri interni.
Questo non vuole dire, e Meloni lo ha fatto capire a Bruxelles, che il nostro Paese metterà il veto all’eventuale decisione di altri Paesi di cedere gli aerei. È il caso della Gran Bretagna, che se volesse inviare i suoi Typhoon a Kiev (un velivolo che può portare avanti combattimenti aria-aria, ma può essere adattato anche per incursioni aria-terra) dovrebbe ottenere il via libera di tutto i membri del consorzio dei produttori, ovvero Germania, Spagna e Italia. Roma non si opporrebbe, «ma in quadro europeo», spiegano dall’esecutivo.
Persino la Polonia, il Paese che con più forza appoggia la resistenza di Zelensky, vuole procedere con cautela. Meloni ha accusato Emmanuel Macron di «privilegiare la sua opinione pubblica». Ma il problema potrebbe presto non essere solo suo.