È boom di auto elettriche, ma ora gli ambientalisti le combattono

Federico Rampini Corriere della Sera 15 febbraio 2023
È boom di auto elettriche, ma ora gli ambientalisti le combattono
Un rapporto degli accademici della University of California le mette sotto accusa: i componenti sono prodotti con attività inquinanti. Ma il rischio è diventare schiavi delle autocrazie e dei loro monopoli

 

Lo stop dell’Unione europea alle auto a benzina e diesel dal 2035 sancisce un’evoluzione già in corso sui mercati: le vendite di auto elettriche avanzano a gran velocità, in alcune parti del mondo sono già un quarto del totale. Ma la conversione del nostro parco auto si scontra con la resistenza occidentale a scavare sotto terra per estrarre le materie prime necessarie ai veicoli elettrici.

E in California un autorevole manifesto ambientalista fa scalpore perché dichiara guerra anche all’auto elettrica: troppo inquinante, non è una soluzione. Il decesso annunciato per l’auto a benzina o diesel riceve l’approvazione formale dell’Europarlamento, ma la direzione di marcia è già evidente per molti consumatori. Nel 2022 per la prima volta le auto elettriche hanno superato la soglia del 10% del totale globale. Ne sono state vendute 7,8 milioni, con un aumento del 68% in un solo anno. La media mondiale nasconde delle punte molto più avanzate. All’avanguardia ci sono Cina e Germania.

Sul mercato tedesco le autovetture elettriche hanno già raggiunto il 25% della produzione l’anno scorso, su quello cinese quasi il 20% delle nuove immatricolazioni sono totalmente elettriche. Tutti questi dati escludono le ibride che farebbero salire le percentuali ancora più in alto. La media europea è 20% come quella cinese. Gli Stati Uniti restano più indietro (6% di auto elettriche sul totale venduto nel 2022) pur avendo un campione mondiale come Tesla, tuttora il numero uno per le vendite di auto elettriche sul pianeta.

Ma l’Inflation Reduction Act varato da Joe Biden contiene incentivi fiscali talmente generosi per i veicoli elettrici, che si prevede un balzo di vendite anche in America (il nome dell’Inflation Reduction Act può ingannare, in realtà si tratta del Green Deal di Biden, generoso di sussidi per le tecnologie verdi e la transizione sostenibile).

Un altro segnale significativo che viene dal mercato è questo: le vetture elettriche si avvicinano a gran velocità ai prezzi di quelle a benzina o diesel. Il calo dei prezzi di listino deriva sia dalle agevolazioni fiscali, sia dai risparmi sui costi di produzione che si realizzano quando aumentano i volumi sfornati dalle fabbriche. A proposito di fabbriche, però, un’altra notizia americana accende un faro sulle nostre contraddizioni (nostre in quanto occidentali).

La Ford annuncia la costruzione nel Michigan di una nuova fabbrica per produrre batterie per le sue auto elettriche, con un investimento di 3,5 miliardi di dollari e l’assunzione di 2.500 dipendenti. Però produrrà sotto licenza della Catl, il numero uno cinese nelle batterie elettriche. La nostra dipendenza dalla Cina in questo settore non fa che aumentare.

L’Inflation Reduction Act o Green Deal di Biden è un perfetto esempio delle contraddizioni di cui siamo prigionieri. Da un lato tenta di ridurre lo schiacciante monopolio cinese nelle tecnologie verdi – batterie elettriche o pannelli fotovoltaici – d’altro lato la stessa Amministrazione Biden cede alle pressioni di alcune lobby ambientaliste e dissemina ostacoli contro lo sfruttamento di risorse locali.

A cominciare da terre rare e minerali strategici usati nelle batterie o nei pannelli solari. Con una mano Biden dà ordine al suo Dipartimento di Energia di finanziare per 700 milioni un progetto per il litio nel Nevada, 300 milioni per una fabbrica di grafite in Louisiana. Ma con l’altra mano Biden autorizza il suo ministero dell’Interno a bloccare una nuova miniera di rame, nickel e cobalto in Minnesota.

Sono tutti minerali e metalli indispensabili per le batterie elettriche. Per adesso vengono estratti per lo più in paesi emergenti, poi lavorati e raffinati in Cina: quindi per il tipo di processi industriali usati in quei paesi, inquinano molto più che se facessimo le stesse cose a casa nostra; però l’inquinamento avviene “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, quindi per gli occidentali il problema non esiste. Tant’è, l’America è spaccata in due sulle attività minerarie: è possibile procedere speditamente con nuovi progetti di estrazione solo in quegli Stati Usa dove governano i repubblicani, e dove spesso già esistono industrie minerarie con antiche tradizioni.

Un caso tipico è il Nebraska, dove di recente è stato avviato un nuovo progetto di estrazione di terre rare tra cui titanio scandio e niobio. Il governatore del Nebraska è il repubblicano Jim Pillen, l’industria mineraria è ben radicata nello Stato, e la popolazione locale considera un “dovere patriottico” approvare l’estrazione per emanciparsi dalla Cina.

Ben diverso è il messaggio che viene dalla California, culla dell’ambientalismo moderno. Gli ecologisti californiani ebbero un ruolo pionieristico negli anni Settanta. Oggi molti di loro abbracciano le versioni più estremiste di quella che sembra diventata la religione dell’anti-sviluppo. Un esempio eclatante viene da un nuovo rapporto intitolato “Achieving Zero Emissions with More Mobility and Less Mining”. Lo hanno redatto accademici della University of California riuniti sotto l’egida del Climate + Community Project. Avrà sicuramente un’influenza considerevole, come tutti i proclami ambientalisti che vengono dalla California.

Questo Rapporto contiene una vera e propria dichiarazione di guerra contro l’auto elettrica. Partendo da considerazioni ovvie: l’auto elettrica non è affatto a zero-emissioni, molti suoi componenti per essere prodotti richiedono attività inquinanti, a cominciare appunto dai metalli e terre rare, per finire con la costruzione della rete distributiva (i caricatori).

L’elenco dei misfatti dell’auto elettrica è arcinoto a chi l’ha studiata da vicino. Ma fino a un’epoca recente mettere in evidenza “l’impurità” dei veicoli elettrici era un tale tabù, che il regista Michael Moore subì un linciaggio sui social e una vera e propria censura da parte del pensiero unico ambientalista, quando realizzò un documentario sul lato oscuro della transizione a un mondo di Tesla. Le contraddizioni non riguardano solo l’America.

Di recente la Svezia ha annunciato la scoperta di nuovi giacimenti di terre rare, il deposito più ricco di tutta l’Europa. La società svedese incaricata di sfruttare queste risorse, la Luossavaara-Kiirunavaara Aktiebolag, o Lkab, potrebbe effettuare l’estrazione e la lavorazione riducendo al minimo le emissioni carboniche: il Nord della Svezia abbonda di energie rinnovabili, dall’idroelettrica al nucleare all’eolico.

Estrarre e manipolare terre rare in Svezia inquina di sicuro molto meno che farlo in Cina. Però l’industria mineraria viene ostacolata lo stesso: è comunque “sporca”, e poi c’è l’inquinamento acustico, insomma a nessuno piacere averla in casa propria.

È così che tra contestazioni, consultazioni con la popolazione locale, test tecnici e permessi, le previsioni svedesi parlano di almeno 10 – 15 anni per attingere a questo nuovo deposito. È evidente la sintonia tra i problemi della Svezia (la terra di Greta Thunberg) e il Rapporto californiano citato sopra, frutto degli accademici che si sono nominati i guardiani della purezza del movimento ambientalista.

Se sono contrari all’auto elettrica, che cosa propongono come alternativa? Un mondo popolato di pedoni, di biciclette, e di treni, è la loro idea della mobilità. Un’idea molto tipica da “ZTL”, da privilegiati che abitano in centri urbani ben serviti dai mezzi pubblici. Più realisticamente, se vince questa nuova crociata delle frange più estremiste dell’ambientalismo, significa che saremo schiavi più che mai delle autocrazie e dei loro monopoli.

 

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