Andrea Fabozzi il Manifesto 15 febbraio 2023
Quanto ha perso la destra
Non è uno scherzo. Per l’astensione ha smarrito 1,4 milioni di voti in cinque mesi. Ma gli altri (poco) di più. In Lombardia hanno votato due milioni di elettori in meno rispetto alle politiche. Nel Lazio un milione. Non sono turni omogenei, ma insieme hanno scritto il racconto di un’avanzata. Che i numeri smentiscono
Ma quanto ha vinto la destra nelle regionali di domenica e lunedì scorso? I dati assoluti, i voti veri, offrono la risposta che le percentuali nascondono. Perché quando la gara si fa su una base così ridotta dalle astensioni è una gara falsata. Valida, naturalmente, per assegnare vittorie e incarichi. Perché chi non partecipa e, nel caso delle liste, chi non riesce a motivare alla partecipazione, perde sempre. Molto meno valida però per valutare il peso reale delle forze in campo. Nei numeri assoluti il dominio della destra di cui parlano le percentuali dei candidati presidenti e dei partiti non si vede. Anche se questa non può essere una consolazione per l’opposizione che ha abbandonato il campo.
Prendiamo come riferimento i voti degli elettori residenti in Lombardia e nel Lazio alle elezioni politiche del 25 settembre scorso. Con l’avvertenza che naturalmente non si tratta di elezioni omogenee, le regionali hanno tradizioni e motivazioni diverse dal voto per il parlamento. Ma sono elezioni troppo vicine nel tempo per non essere considerate un punto di riferimento. Fanno parte della stessa narrazione, quella del risveglio della destra. La narrazione che i numeri veri mettono in discussione.
In Lombardia meno di cinque mesi fa hanno votato 5,3 milioni di elettori. Anche allora l’astensione era cresciuta, ma non drammaticamente come adesso: l’affluenza quella domenica arrivò al 70% vale a dire 6,8 punti in meno delle ultime politiche. Il 12 e 13 febbraio scorso hanno invece nelle dodici provincie lombarde hanno votato 3,3 milioni di elettori, dunque se ne sono persi per strada tra politiche e regionali circa due milioni.
Andare alla ricerca di questi voti persi avvicina la comprensione di quello che è successo realmente.
La prima scoperta è che la metà quasi esatta di questi voti che mancano (940mila per la precisione) mancano alla coalizione di centrodestra. Fratelli d’Italia che aveva raccolto oltre 1,4 milioni di voti, questa volta ne ha presi 725mila. È certamente il primo partito della coalizione ma è anche, dentro la coalizione, quello che subisce l’emorragia maggiore in termini percentuali sui voti reali, quasi il 50% in meno. Così male va solo Forza Italia, che perde il 47%, mentre la lista centrista Noi moderati flette del 28% e invece la Lega, alla quale rispetto alle politiche sommiamo i voti della lista Fontana, resta quasi stabile con appena il 2% di voti persi.
Certo, le percentuali dicono altro. Il 25% del partito di Meloni in Lombardia e ancor di più il quasi 55% del candidato presidente (al quale è andato un 9% di voti diretti, senza indicazione della lista) brillano di un’altra luce, ma è una luce che può abbagliare.
Fatti i conti della destra, alla nostra caccia manca un altro milione di voti smarriti tra le politiche e le regionali in Lombardia. Lo troviamo semplicemente sommando i voti che hanno lasciato per strada tutti gli altri, le «non destre»: il Pd, il Movimento 5 Stelle. Sinistra/Verdi e il polo di Calenda-Renzi, considerando anche i voti che aveva preso alle politiche +Europa che questa volt non ha presentato la lista (il totale fa 970mila voti in meno). Qui (come, vedremo, nel Lazio) l’emorragia più grande l’ha subita il Movimento 5 Stelle. Che in cinque mesi scarsi ha perso 265mila dei 379mila voti che aveva, un calo del 70% che ne fa inequivocabilmente il primo dei partiti perdenti. Molto male anche il cosiddetto terzo polo, che perde il 54% dei voti (ne aveva oltre mezzo milione, ne prende 275mila). Più o meno della stessa pendenza è la discesa della lista di sinistra, che lascia a casa il 51% dei voti reali. Non bene, ma non così male il Partito democratico, che alle politiche in regione Lombardia aveva quasi un milione di voti e alle regionali, considerando anche la lista Majorino, supera i settecentomila: la flessione in termini reali dunque è del 23%, la più contenuta del panorama con l’eccezione della quasi tenuta della Lega.
Passiamo al Lazio, dove mancano ancora i voti di sette sezioni che però non cambieranno di nulla la sostanza (soprattutto vista l’alta astensione, si tratta di un migliaio di voti di lista in tutto). Nel Lazio la crescita percentuale dell’astensione è stata vertiginosa, se alle politiche aveva votato il 66.55% degli aventi diritto, domenica e lunedì scorsi ha votato appena il 37,2%. A settembre erano stati quasi 2,8 milioni, questa volta un milione in meno. Riapriamo la nostra caccia.
Anche nel Lazio l’emorragia di voti ha colpito più pesantemente le opposizioni alla maggioranza di Giorgia Meloni, ma anche nel Lazio la differenza non è abissale e i voti veri sgretolano il racconto di una destra con il vento nelle ali. Non c’è nulla che possa far parlare di luna di miele dei partiti al governo con gli elettori. Se alle politiche la vittoria della destra era stata costruita sulla tenuta di un blocco di fronte alle divisioni degli altri, e non sulla espansione di quel blocco (salvi gli spostamenti interni in favore di Fratelli d’Italia), i due successi nel Lazio e in Lombardia sono come il secondo tempo di quella stessa partita.
Fratelli d’Italia alle politiche di settembre nelle cinque provincie del Lazio ha preso quasi 850mila voti, che sono diventati 550mila lo scorso fine settimana, anche sommando i voti della lista civica del candidato presidente Rocca. Una flessione dunque del 34%. Meno peggio sono andate sia Forza Italia, meno 29%, che la Lega, meno 22% in termini reali. Mentre le liste di centro del centrodestra hanno addirittura recuperato voti, complice il fatto che questa volta esibivano, tra gli altri, il simbolo dello scudo crociato. Dall’altra parte del campo il Pd ha perso tantissimo, 210mila dei 520 mila voti che aveva, cioè il 40%, ma peggio di lui ha fatto la Sinistra, meno 41% anche volendo provare a sommare – operazione forse un po’ troppo ardita – i risultati ottenuti alle regionali dalle due liste che si sono divise, sostenendo una D’Amato e l’altra Bianchi. Malissimo anche la lista di Renzi e Calenda, che nel Lazio ha smarrito 150mila dei 226mila voti che aveva preso alle politiche, cioè il 66%. Peggio di tutti ha fatto anche nel Lazio il Movimento 5 Stelle, per il quale l’astensione è evidentemente un potentissimo flusso in uscita: in regione il partito di Conte ha perso 275mila dei 406mila voti che aveva ricevuto appena cinque mesi fa, vale a dire il 67%. Questo dicono i numeri.
La vittoria di Giorgia conta 1 milione 400 mila voti in meno. Lo dice solo chi sa contare
Andrea Fabozzi il Manifesto 15 febbraio 2023
Quanto ha perso la destra
Non è uno scherzo. Per l’astensione ha smarrito 1,4 milioni di voti in cinque mesi. Ma gli altri (poco) di più. In Lombardia hanno votato due milioni di elettori in meno rispetto alle politiche. Nel Lazio un milione. Non sono turni omogenei, ma insieme hanno scritto il racconto di un’avanzata. Che i numeri smentiscono
Ma quanto ha vinto la destra nelle regionali di domenica e lunedì scorso? I dati assoluti, i voti veri, offrono la risposta che le percentuali nascondono. Perché quando la gara si fa su una base così ridotta dalle astensioni è una gara falsata. Valida, naturalmente, per assegnare vittorie e incarichi. Perché chi non partecipa e, nel caso delle liste, chi non riesce a motivare alla partecipazione, perde sempre. Molto meno valida però per valutare il peso reale delle forze in campo. Nei numeri assoluti il dominio della destra di cui parlano le percentuali dei candidati presidenti e dei partiti non si vede. Anche se questa non può essere una consolazione per l’opposizione che ha abbandonato il campo.
Prendiamo come riferimento i voti degli elettori residenti in Lombardia e nel Lazio alle elezioni politiche del 25 settembre scorso. Con l’avvertenza che naturalmente non si tratta di elezioni omogenee, le regionali hanno tradizioni e motivazioni diverse dal voto per il parlamento. Ma sono elezioni troppo vicine nel tempo per non essere considerate un punto di riferimento. Fanno parte della stessa narrazione, quella del risveglio della destra. La narrazione che i numeri veri mettono in discussione.
In Lombardia meno di cinque mesi fa hanno votato 5,3 milioni di elettori. Anche allora l’astensione era cresciuta, ma non drammaticamente come adesso: l’affluenza quella domenica arrivò al 70% vale a dire 6,8 punti in meno delle ultime politiche. Il 12 e 13 febbraio scorso hanno invece nelle dodici provincie lombarde hanno votato 3,3 milioni di elettori, dunque se ne sono persi per strada tra politiche e regionali circa due milioni.
Andare alla ricerca di questi voti persi avvicina la comprensione di quello che è successo realmente.
La prima scoperta è che la metà quasi esatta di questi voti che mancano (940mila per la precisione) mancano alla coalizione di centrodestra. Fratelli d’Italia che aveva raccolto oltre 1,4 milioni di voti, questa volta ne ha presi 725mila. È certamente il primo partito della coalizione ma è anche, dentro la coalizione, quello che subisce l’emorragia maggiore in termini percentuali sui voti reali, quasi il 50% in meno. Così male va solo Forza Italia, che perde il 47%, mentre la lista centrista Noi moderati flette del 28% e invece la Lega, alla quale rispetto alle politiche sommiamo i voti della lista Fontana, resta quasi stabile con appena il 2% di voti persi.
Certo, le percentuali dicono altro. Il 25% del partito di Meloni in Lombardia e ancor di più il quasi 55% del candidato presidente (al quale è andato un 9% di voti diretti, senza indicazione della lista) brillano di un’altra luce, ma è una luce che può abbagliare.
Fatti i conti della destra, alla nostra caccia manca un altro milione di voti smarriti tra le politiche e le regionali in Lombardia. Lo troviamo semplicemente sommando i voti che hanno lasciato per strada tutti gli altri, le «non destre»: il Pd, il Movimento 5 Stelle. Sinistra/Verdi e il polo di Calenda-Renzi, considerando anche i voti che aveva preso alle politiche +Europa che questa volt non ha presentato la lista (il totale fa 970mila voti in meno). Qui (come, vedremo, nel Lazio) l’emorragia più grande l’ha subita il Movimento 5 Stelle. Che in cinque mesi scarsi ha perso 265mila dei 379mila voti che aveva, un calo del 70% che ne fa inequivocabilmente il primo dei partiti perdenti. Molto male anche il cosiddetto terzo polo, che perde il 54% dei voti (ne aveva oltre mezzo milione, ne prende 275mila). Più o meno della stessa pendenza è la discesa della lista di sinistra, che lascia a casa il 51% dei voti reali. Non bene, ma non così male il Partito democratico, che alle politiche in regione Lombardia aveva quasi un milione di voti e alle regionali, considerando anche la lista Majorino, supera i settecentomila: la flessione in termini reali dunque è del 23%, la più contenuta del panorama con l’eccezione della quasi tenuta della Lega.
Passiamo al Lazio, dove mancano ancora i voti di sette sezioni che però non cambieranno di nulla la sostanza (soprattutto vista l’alta astensione, si tratta di un migliaio di voti di lista in tutto). Nel Lazio la crescita percentuale dell’astensione è stata vertiginosa, se alle politiche aveva votato il 66.55% degli aventi diritto, domenica e lunedì scorsi ha votato appena il 37,2%. A settembre erano stati quasi 2,8 milioni, questa volta un milione in meno. Riapriamo la nostra caccia.
Anche nel Lazio l’emorragia di voti ha colpito più pesantemente le opposizioni alla maggioranza di Giorgia Meloni, ma anche nel Lazio la differenza non è abissale e i voti veri sgretolano il racconto di una destra con il vento nelle ali. Non c’è nulla che possa far parlare di luna di miele dei partiti al governo con gli elettori. Se alle politiche la vittoria della destra era stata costruita sulla tenuta di un blocco di fronte alle divisioni degli altri, e non sulla espansione di quel blocco (salvi gli spostamenti interni in favore di Fratelli d’Italia), i due successi nel Lazio e in Lombardia sono come il secondo tempo di quella stessa partita.
Fratelli d’Italia alle politiche di settembre nelle cinque provincie del Lazio ha preso quasi 850mila voti, che sono diventati 550mila lo scorso fine settimana, anche sommando i voti della lista civica del candidato presidente Rocca. Una flessione dunque del 34%. Meno peggio sono andate sia Forza Italia, meno 29%, che la Lega, meno 22% in termini reali. Mentre le liste di centro del centrodestra hanno addirittura recuperato voti, complice il fatto che questa volta esibivano, tra gli altri, il simbolo dello scudo crociato. Dall’altra parte del campo il Pd ha perso tantissimo, 210mila dei 520 mila voti che aveva, cioè il 40%, ma peggio di lui ha fatto la Sinistra, meno 41% anche volendo provare a sommare – operazione forse un po’ troppo ardita – i risultati ottenuti alle regionali dalle due liste che si sono divise, sostenendo una D’Amato e l’altra Bianchi. Malissimo anche la lista di Renzi e Calenda, che nel Lazio ha smarrito 150mila dei 226mila voti che aveva preso alle politiche, cioè il 66%. Peggio di tutti ha fatto anche nel Lazio il Movimento 5 Stelle, per il quale l’astensione è evidentemente un potentissimo flusso in uscita: in regione il partito di Conte ha perso 275mila dei 406mila voti che aveva ricevuto appena cinque mesi fa, vale a dire il 67%. Questo dicono i numeri.