Regionali, piccole speranze dopo la vittoria dei peggiori

Nadia Urbinati Domani 15 febbraio
Regionali, piccole speranze dopo la vittoria dei peggiori
Dalle elezioni regionali ci vengono tre notizie, due non proprio buone e una non proprio cattiva. Sul primo fronte la peggiore riguarda l’affluenza alle urne, su cui gli studiosi dovranno prima o poi concentrarsi seriamente.

Il carnevale sanremese ha preso la scena pre-elettorale e l’opinione nazionale si è quasi dimenticata delle urne vicine, che sono state disertate da chi pensa che il potere del voto non gli appartenga, consegnandolo così a chi già ne ha tanto.

La seconda, peggiore, notizia riguarda la vittoria del cattivo governo.

Quello lombardo, che ha portato il modello americano nella sanità non solo regionale, visto il piano del governo a favore delle assicurazioni private, e che ha avuto una responsabilità politica e morale nella falcidia di morti da pandemia.

Quello laziale, che sembra riportare la regione alla fiera dell’indebitamento sciupando il buon lavoro che la giunta Nicola Zingaretti ha fatto, nella sanità e nella lotta al Covid-19. Vincono i peggiori.

La terza notizia non proprio cattiva viene dall’altra parte. Qui si intravedono una luce in fondo al buio e due lumiarie spente.
Gli egocentrismi non hanno avuto successo. Volevano mazziare il Pd e sono stati mazziati (contribuendo alla vittoria dei peggiori).

In Lombardia il duo Renzi-Calenda ha mostrato che dietro di loro c’è il vuoto.

Non bastano le capriole opportunistiche che imbarcano una leader di destra riverniciata a nuovo. Il duo centrista perde sonoramente.

Lo stesso è successo con l’altro egocentrismo, che voleva rosicchiare sul Pd ed è rimasto sdentato. Queste due luminarie si sono rivelate fuochi fatui.

Il Partito democratico ha acquistato consenso, per nella sconfitta, e si conferma un partito con una base solida importante. Nonostante i mugugni di chi lo vota.

Il fatto che abbia sconfessato i sondaggi che lo davano sotto i Cinque stelle, ci dice alcune cose importanti.
Primo, che la lunga marcia voluta da Enrico Letta verso il congresso è stata una buona decisione: ha portato molti e molte a pensare e discutere di politica, a fare collettivo.

Secondo, che la società è certo ancora distante (come l’astensione prova) ma la strada imboccata è giusta e non porta al partito degli eletti e degli amministratori (dell’establishment) ma a quella della partecipazione: la cittadinanza attiva è la vita del partito, la mappa nella prateria del non-voto.

Terzo, che chi diventerà segretario/a dovrà trovare ispirazione da queste elezioni regionali: rafforzare il partito nel suo rapporto con la società, con i ceti popolari e sottopopolari, perché lì sta il suo futuro. Non nel ravvivare le luminarie spente.

Il futuro sta nella costruzione di un partito di idee e di proposte, di lotta nella società e in parlamento contro questa destra.

La differenza deve vedersi e apprezzarsi bene: vino schietto, non annacquato.

 

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