Papa Francesco: “Il mondo è in guerra, dal Congo all’Ucraina crudeltà che sconvolge”

Antonio Spadaro La Stampa 16 febbraio 2023
Papa Francesco: “Il mondo è in guerra, dal Congo all’Ucraina si uccide con una crudeltà che mi sconvolge”
Il dialogo del pontefice con i gesuiti in Africa: «L’umanità avrà la forza di tornare indietro? Sono pessimista». E sull’ipotesi di sue dimissioni: «Ho scritto le condizioni in una lettera ma per il momento non sono in agenda»


Pubblichiamo alcuni estratti delle conversazioni private di Papa Francesco con i suoi confratelli avvenute durante il recente viaggio apostolico in Africa (31 gennaio – 5 febbraio). Due le tappe: Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan

2 febbraio 2023, Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo

 

Santo Padre, la Compagnia di Gesù riceve la sua missione dal Papa. Qual è la missione che lei dà alla Compagnia oggi?
«Sono d’accordo con le preferenze apostoliche universali che la Compagnia ha elaborato. Consistono innanzitutto nell’indicare il cammino verso Dio mediante gli Esercizi spirituali e il discernimento.

La seconda (delle preferenze apostoliche universali, ndr.) è quella della missione di riconciliazione e di giustizia, che va fatta camminando insieme ai poveri, agli esclusi, a coloro che sono feriti nella propria dignità. E poi i giovani: bisogna accompagnarli a creare il futuro. Quindi la collaborazione nella cura della casa comune nello spirito della Laudato si’.

Io le ho approvate, e adesso i gesuiti devono incarnarle in ogni specifica realtà locale nelle modalità più adatte e adeguate, non in modo teorico e astratto. Ecco, voi dovete applicarle qui in Congo.

Certo, è chiaro che qui è forte il tema del conflitto, delle lotte tra fazioni. Ma apriamo gli occhi sul mondo: tutto il mondo è in guerra! La Siria vive una guerra da 12 anni, e poi lo Yemen, il Myanmar con il dramma dei rohingya. Anche in America Latina ci sono tensioni e conflitti. E poi questa guerra in Ucraina. Tutto il mondo è in guerra, ricordiamocelo bene. Ma io mi domando: l’umanità avrà il coraggio, la forza o persino l’opportunità di tornare indietro? Si va avanti, avanti, avanti verso il baratro. Non so: è una domanda che io mi faccio. Mi dispiace dirlo, ma sono un po’ pessimista.

Oggi davvero sembra che il problema principale sia la produzione di armi. C’è ancora tanta fame nel mondo e noi continuiamo a fabbricare le armi. È difficile tornare indietro da questa catastrofe. E non parliamo delle armi atomiche! Credo ancora in un lavoro di persuasione. Noi cristiani dobbiamo pregare tanto: “Signore, abbi pietà di noi!”.

In questi giorni mi colpiscono i racconti delle violenze. Mi colpisce soprattutto la crudeltà. Le notizie che vengono dalle guerre che ci sono nel mondo ci parlano di una crudeltà persino difficile da pensare. Non solo si uccide, ma lo si fa crudelmente. Per me questa è una cosa nuova. Mi dà da pensare. Anche le notizie che arrivano dall’Ucraina ci parlano di crudeltà. E qui in Congo lo abbiamo ascoltato dalle testimonianze dirette delle vittime».

Come gesuita professo lei ha fatto voto di non cercare ruoli di autorità nella Chiesa. Che cosa l’ha spinta ad accettare l’episcopato e poi il cardinalato e poi il papato?
«Quando ho fatto quel voto l’ho fatto sul serio. Quando mi hanno proposto di essere vescovo ausiliare di San Miguel, io non ho accettato. Poi mi è stato chiesto di essere vescovo di una zona al Nord dell’Argentina, nella provincia di Corrientes. Il Nunzio, per incoraggiarmi ad accettare, mi disse che lì c’erano le rovine del passato dei gesuiti. Io ho risposto che non volevo essere guardiano delle rovine, e ho rifiutato. Ho rifiutato queste due richieste per il voto fatto. La terza volta è venuto il Nunzio, ma già con l’autorizzazione firmata dal Preposito generale, il p. Kolvenbach, che aveva acconsentito al fatto che io accettassi. Era come ausiliare di Buenos Aires. Per questo ho accettato in spirito di obbedienza. Poi sono stato nominato arcivescovo coadiutore della mia città, e nel 2001 cardinale. Nell’ultimo conclave sono venuto con una valigetta piccola per tornare subito in diocesi, ma sono dovuto rimanere. Io credo nella singolarità gesuita circa questo voto, e ho fatto il possibile per non accettare l’episcopato».

Si è parlato di sue possibili dimissioni. Davvero lei è intenzionato a lasciare il ministero petrino?
«Guarda, è vero che io ho scritto le mie dimissioni due mesi dopo l’elezione e ho consegnato questa lettera al cardinale Bertone. Non so dove si trovi questa lettera. L’ho fatto nel caso che io abbia qualche problema di salute che mi impedisca di esercitare il mio ministero e di non essere pienamente cosciente per poter rinunciare. Questo però non vuol affatto dire che i Papi dimissionari debbano diventare, diciamo così, una “moda”, una cosa normale. Benedetto ha avuto il coraggio di farlo perché non se la sentiva di andare avanti a causa della sua salute. Io per il momento non ho in agenda questo. Io credo che il ministero del Papa sia ad vitam. Non vedo la ragione per cui non debba essere così. Pensate che il ministero dei grandi patriarchi è sempre a vita. E la tradizione storica è importante. Se invece stiamo a sentire il “chiacchiericcio”, beh, allora bisognerebbe cambiare Papa ogni sei mesi!».

4 febbraio 2023, Giuba, Sud Sudan.

Santo Padre, la fede si muove verso il Sud del mondo. I soldi no. Ha qualche paura, qualche speranza?
«Se uno non ha speranza, può chiudere la porta e andarsene via! Tuttavia, la mia paura riguarda la cultura pagana molto generalizzata. I valori pagani oggi contano sempre di più: denaro, reputazione, potere. Dobbiamo essere consapevoli del fatto che il mondo si muove in una cultura pagana che ha i propri idoli e i propri dèi. Denaro, potere e fama sono cose che sant’Ignazio nei suoi Esercizi spirituali indica come i peccati fondamentali. La scelta di sant’Ignazio sulla povertà – a tal punto da far fare un voto speciale ai professi – è una scelta contro il paganesimo, contro il dio denaro. Oggi la nostra è anche una cultura pagana di guerra, dove conta quante armi hai. Sono tutte forme di paganesimo.

Ma poi, per favore, non siamo così ingenui da pensare che la cultura cristiana sia la cultura di un partito unito, dove tutti aggruppati insieme fanno la forza. Ma così la Chiesa diventa un partito. No! La cultura cristiana è, invece, la capacità di interpretare, discernere e vivere il messaggio cristiano, che il nostro paganesimo non vuole capire, non vuole accettare. Siamo giunti al punto che se uno pensa alle esigenze della vita cristiana nella cultura di oggi, ritiene che esse siano una forma di estremismo. Dobbiamo imparare ad andare avanti in un contesto pagano, che non è poi diverso da quello dei primi secoli».

Qual è il suo sogno per l’Africa?
«Quando il mondo pensa all’Africa, pensa che, in un modo o nell’altro, essa vada sfruttata. Si tratta di un meccanismo inconscio collettivo: l’Africa va sfruttata. No, l’Africa deve crescere. Sì, i Paesi del Continente hanno ottenuto l’indipendenza, ma dal suolo in su, non sulle ricchezze che sono sotto. Su questo tema lo scorso novembre ho avuto un incontro con studenti africani in videoconferenza per quasi un’ora e mezza. Sono rimasto meravigliato dall’intelligenza di queste ragazze e ragazzi. Mi è molto piaciuto il loro modo di ragionare. Ecco, l’Africa ha bisogno di politici che siano persone così: bravi, intelligenti, che facciano crescere i loro Paesi. Politici che non si lascino traviare dalla corruzione, soprattutto. La corruzione politica non lascia spazio alla crescita del Paese, lo distrugge. A me colpisce il cuore. Non si possono servire due padroni; nel Vangelo questo è chiaro. O si serve Dio o si serve il denaro. Interessante che non dica il demonio, ma il denaro. Bisogna formare politici onesti. È anche il vostro compito».

Qual è il segreto della sua semplicità?
«Io? Semplice? Io mi sento troppo complicato!».

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.